Musica fra le macerie a Onna

Fino alle 3.32 del sei aprile del 2009 a Onna potevi ascoltare i suoni della quotidianità: un piatto che cade, le posate che si toccano, il bimbo che piange, la sigla del telegiornale puntuale alle otto di sera, il richiamo della mamma all’adolescente che si attarda sulla piazzetta con i compagni, gli urli smorzati di qualche discussione in famiglia. Era la sinfonia della normalità in un paese di 300 anime sprofondato nel verde della valle aquilana a due passi dal fiume Aterno, con le ore segnate dalla campana della chiesa parrocchiale e dallo sferragliare del treno preceduto dal ticchettio delle sbarre che si abbassavano al passaggio a livello. Soprattutto nelle sere d’estate all’orchestra umana si aggiungevano i violini dei grilli nascosti nel fieno, il trombone della mucca che voleva essere munta, il flauto appena accennato del gregge che “struscia” verso l’ovile, sulla strada a pois. Alle 3,32 del sei aprile un rumore sordo, la polvere che si alza. Il silenzio. Quel silenzio che “risuona” da due anni e mezzo rotto dai cinguettii degli uccelli, dal vento che sferza le case sventrate, dai mezzi dei vigili del fuoco che rombano sulle macerie. Suoni confusi che si perdono nello scenario di distruzione dove ogni angolo è bagnato dalle lacrime per chi non c’è più. Oggi, estate 2011 Onna è sparita. Dove c’erano le case ci sono spazi vuoti, luoghi violati, muri spezzati, stanze svelate che il ricordo rende ancora più spettrali.
 Tutto in attesa che Onna possa risorgere, tornare a essere quell’angolo di paradiso solcato dalle acque del Vera, animato da gente semplice che aveva vissuto grazie alla terra fertile dei suoi campi e che a quella terra restava legata, quella terra che il sei aprile ha tradito i suoi abitanti portandosene via quaranta. Da quel sei aprile entrare nel vecchio borgo significa confrontarsi con la desolazione, con la precarietà che si fa immagine concreta, la precarietà dell’esistenza e delle cose umane. Da qui nasce l’idea di portare in quella desolazione - che è anche un libro aperto sulla storia del mondo - l’arte più universale di tutte: la musica. Con l’obiettivo di riempire di suoni e suggestioni vocali angoli abbandonati - dove c’era vita e oggi non c’è più - e i luoghi della gioia familiare diventati in 23 secondi i luoghi del dolore e della memoria.
 Ecco dunque che la distruzione si fa palcoscenico, il palcoscenico spazio vitale, lo spazio vitale teatro della storia in cui gli strumenti musicali sono pala, zappa, martello, sega, chiodo e poi cemento, pietra, porta, finestra, tetto: perché l’uomo non si è mai fermato di fronte alle tragedie e Onna è di nuovo già in cammino. La musica fra le macerie per non dimenticare ma anche per sperare nel futuro, per stringersi intorno a chi quella notte ce l’ha fatta e oggi proprio in nome di chi se n’è andato vuole ricostruire, tornare a percorrere le strade e i vicoli, riempire gli spazi e i luoghi pubblici.
 L’idea della Pro loco di Onna e del direttore artistico della manifestazione Francesco Negroni è dunque quella di concerti negli angoli simbolo di un paese simbolo: via dei Calzolai, la strada perduta; via Oppieti la strada della memoria; piazza Umberto I la piazza del ricordo, Ciancone spazio della nostalgia, via Ludovici e Sant’Antonio dove regna la malinconia. Riportare nel borgo antico di Onna, con la musica, anche quei rumori della quotidianità che si sono fermati il sei aprile di oltre due anni fa. Il messaggio è forte e semplice: Onna c’è, Onna vive. Si alzi il sipario per l'inno al paese che prova a risorgere e che non dimentica.