Rigopiano, la valanga assassina che ha annientato anche il paesaggio 

Il resort a 4 stelle travolto da una forza di 120mila tonnellate. Ventinove le vittime, cancellato il bosco di alberi secolari, una ferita di 2 chilometri. Oggi le commemorazioni a Farindola e a Penne. Lunedì incontro con Mattarella

Il 19 gennaio dell’anno scorso, ad appena poche ore dalla valanga che si era abbattuta sull’hotel Rigopiano, la ferita lasciata sulla montagna da quelle 120mila tonnellate di neve, rocce e alberi si vedeva addirittura da Penne: 25 chilometri di distanza. Una scia bianca, candida ma spettrale, che si faceva largo tra il nero degli alberi: una macchia talmente visibile da battere anche il cielo grigio di quei maledetti giorni segnati dall’emergenza maltempo. «Quello è il monte Siella», dicevano i residenti dell’area vestina, quelli che conoscono quei monti come le loro tasche, «e quella linea bianca fino a ieri non c’era». È comparsa all’improvviso quella macchia lunga circa 500 metri e dai contorni irregolari a descrivere il percorso di morte seguito dalla valanga.

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I numeri della valanga di Rigopiano raccontano di un disastro naturale impressionante: nessuna costruzione avrebbe potuto resistere a quella violenza inaudita, così hanno detto i consulenti della procura di Pescara chiamati a ricostruire l’origine, il tragitto e le cause della valanga.
Una slavina che ha cambiato il paesaggio del comprensorio: da regno del turismo, con l’hotel e centro benessere amato anche dai vip, a regno di morte, con le 29 vittime intrappolate nel resort a causa di un muro di neve alto fino quasi a tre metri che nessuno ha rimosso per oltre un giorno intero rendendo così impercorribili i 9 chilometri tortuosi tra il bivio di località Mirri, a Farindola, e la cima di Rigopiano. La turbina che avrebbe dovuto servire la zona di Rigopiano era rotta dal precedente 6 gennaio e non era mai stata sostituita nonostante le previsioni meteo avessero annunciato la nevicata eccezionale con giorni e giorni di anticipo.
La valanga si è staccata dall’apice della montagna a un’altezza di circa duemila metri e, dopo aver fatto una curva, ha cominciato a prendere velocità verso il canalone sottostante, il punto esatto in cui sorgeva l’albergo, nato negli anni Sessanta, chiuso e poi restaurato nel 2007. Dall’imbocco del canalone, la neve ha travolto sempre più alberi e detriti. La massa ha sepolto la strada che si biforca: da una parte, si sale verso Campo Imperatore e, dall’altra, si svolta per Castelli. Poi, la valanga ha lambito il camping Rigopiano, un’area pianeggiante attrezzata per oltre 100 camper, e dopo un salto è tornata a puntare in basso aggirando il Rifugio Tito Acerbo. La valanga ha scavato una parabola e, poi, dopo un rettilineo, ha travolto l’albergo. Un impatto talmente forte che l’hotel è collassato su se stesso e, secondo gli esperti, è scivolato in avanti rispetto alla posizione originaria: prima una torsione e poi uno spostamento di una decina di metri. Il corpo centrale non ha resistito alla valanga: è stato investito in pieno e abbattuto mentre il centro benessere, costruito 11 anni fa, è stato solo lambito dalla slavina ed è rimasto in piedi.

leggi anche: Pino Insegno e Federico Perrotta Rigopiano, oggi la cerimonia per ricordare le 29 vittime  I componenti del comitato deporranno un fiore sul luogo della tragedia, poi fiaccolata e messa. Nel pomeriggio la lettura di poesie e il concerto al Palazzetto dello sport di Penne

Guardando da Penne il massiccio montuoso che sovrasta Farindola, si nota un’altra scia bianca che si apre tra gli alberi secolari di faggio e taglia netta la vegetazione. Cos’è quella linea lo dicono gli atti sul Catasto delle valanghe: tra il 1999 e il 2005 si erano verificate tre slavine a poca distanza dal resort e, se si allarga l’area tra Farindola e il paese confinante Arsita, le valanghe salgono a 10 negli stessi 6 anni. Che quell’area fosse a rischio valanghe qualcuno lo sapeva. E qualcuno sapeva anche che il 18 gennaio scorso il rischio valanghe era davvero reale: lo gridavano i bollettini del servizio Meteomont ma quegli allarmi sono rimasti inascoltati: il pericolo di valanghe nella zona del Gran Sasso era elevato già dal lunedì precedente al disastro e sempre crescente fino a toccare, il mercoledì, stesso giorno del terremoto con 5 scosse, il grado di 4 su 5. Che vuole dire «marcato pericolo».

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