Storie, sogni, paure: ecco il libro sulle 29 vittime dell’hotel Rigopiano

Oggi con il Centro "Vite spezzate" di Simona De Leonardis dà voce ai familiari: «Un viaggio nel dolore e nell’amore»

Dietro ogni fatto di cronaca, grande o piccolo che sia, ci sono persone, con le loro storie, i loro sogni, i loro dolori, le loro vite. Simona De Leonardis, 47 anni, pescarese doc, giornalista, mamma di tre stupende creature, di cronaca si occupa dal 1995, sempre con gli occhi spalancati sulle pieghe delle esistenze dei protagonisti di ogni fatto. Per andare oltre la notizia, capire e far capire.
Della tragedia del resort di Rigopiano si è occupata per il Centro sin dalle primissime ore. Non ha scavato con le mani nella neve all’alba del 19 gennaio 2017, ma ha scavato con la penna poi, per giorni, settimane, mesi, seguendo l’inchiesta passo dopo passo. Fino a capire che non voleva che quelle 29 vite – i loro sogni, le loro storie, i loro dolori – venissero spazzate via divorate dalla valanga e dal ruolo di vittime. Voleva conoscerle quelle esistenze, così simili a quelle di tanti eppure così uniche. Così ha intinto la penna nell’inchiostro dei ricordi dei loro familiari e le ha narrate nel bel libro “Rigopiano - Vite spezzate. Le storie e le voci delle 29 vittime della valanga”, pubblicato con il Centro, che uscirà domani, per il primo anniversario della tragedia dell’hotel di Rigopiano, insieme al nostro quotidiano e a un inserto di 8 pagine che fa il punto a 12 mesi dalla catastrofe .
Simona, quando hai pensato di scrivere un libro su Rigopiano e perché sulle vittime?
Dopo tanta cronaca su ogni risvolto della vicenda, inchieste, interviste, resoconti giudiziari, ricostruzioni di quelle ore, ho cominciato a chiedermi chi fossero davvero quelle persone di cui continuavo a fare nomi, a vedere i volti nelle foto sui giornali, sul web, in tv. Per tutti erano «le vittime di Rigopiano», ma a che punto della loro esistenza li aveva colti la valanga, in quale momento del loro percorso di vita erano stati interrotti? Qualcosa più di una semplice curiosità si faceva largo in me soprattutto ascoltando i familiari.
Che idea ti eri fatta di loro intanto?
Ognuno di loro è un po’ ognuno “di noi”: gente che lavora, gente che era lì in un periodo di bassa stagione, che coglieva una piccola opportunità dopo le feste, dopo vacanze tanto rimandate.
Ma volevi saperne di più.
Ho seguito l’empatia che sentivo con chi restava, che mi raccontava il suo dolore, mi affidava ricordi. A un certo punto poi ho sentito come se lo dovessi, alle vittime: dare loro voce, raccontare cosa aveva fatto la valanga, cosa aveva spezzato, che progetti, affetti, sogni aveva gelato.
Un articolo non bastava, serviva un libro.
Ho contattato le famiglie per sapere cosa ne pensassero, perché avrei toccato una sfera delicata. Ci siamo incontrati, sia sull’idea che sul modo. Lo abbiamo scritto insieme il libro. Sono contenta perché è un racconto che nasce dalle parole di chi ha amato e continua ad amare quelle persone.

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Che viaggio è stato?
Un viaggio nel dolore e nell’amore. Ho trovato le famiglie delle vittime devastate da quello che è accaduto: una valanga di neve, negligenze e leggerezze. Intorno alla tragedia c’è stato un grande circo mediatico, loro all’inizio ne sono stati violentati, poi però i media sono diventati un megafono per tenere alta l’attenzione sulla vicenda e dare voce alla loro richiesta di giustizia e verità. Gli incontri sono durati oltre due mesi, sono andata nelle case di chi era uscito per una vacanza o per lavoro e non ci è più tornato. Me le hanno aperte generosamente e con fiducia le loro famiglie. Stanze rimaste intatte, come se aspettassero qualcuno, pantofole, libri, foto.
Quale era l’urgenza dei familiari?
Raccontare i figli, i genitori, nel modo più fedele e vero possibile, perché è un modo per farli conoscere, ma anche di fissare i ricordi degli ultimi giorni, per non dimenticare.
E cosa viene fuori?
Un racconto collettivo e un grido d’aiuto corale. Basta leggere gli sms che dall’hotel venivano inviati dalla mattina alle famiglie: tutti avevano le stesse paure: la scossa fortissima, la neve, il senso di essere prigionieri. Letti tutti insieme, quei messaggi sono un pugno nello stomaco perché danno la misura di quanto fosse forte quel grido di aiuto lanciato dai prigionieri dell’albergo che invece è caduto nel vuoto. Ma in quei messaggi c’è anche la quotidianità di chi pensava di avere un domani e lo riorganizzava «perché bloccato dalla neve un giorno in più». Spesso i racconti si incrociano tra gli spazi del resort, ogni istante è un tassello dello stesso puzzle. Ognuno era alla vigilia di qualcosa, si preparava a un matrimonio, alla laurea di un figlio, a un nuovo percorso professionale, c’era chi progettava di mettere in cantiere un bambino. L’anno era appena iniziato.

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