Polo elettronico, il declino di una città

Negli anni Settanta segnò il riscatto per migliaia di persone, pochi mesi fa la fine

 L'AQUILA. Dai fasti al declino. E' ormai calato il sipario sul polo elettronico aquilano. L'epilogo più amaro, dopo decenni di battaglie e mobilitazioni. Per la storica fabbrica, che ha scandito nel tempo la vita sociale ed economica della città, se n'è andato anche l'ultimo scampolo di vita. A giugno scorso, l'annuncio da Roma: l'avvio della liquidazione per Finmek Solution, che chiude una storia lunga e travagliata. LE ORIGINI. Sono lontani i tempi in cui, nel vecchio stabilimento Marconi, nato dopo il bombardamento della Zecca (dicembre 1943), i primi camici azzurri presero servizio. 800 operai e l'ambizione di creare intorno a catene di montaggio e tubi elettronici, lavoro e occupazione.  Il vero boom industriale, per L'Aquila, arriva alla fine degli anni Sessanta con l'avvento della Sit-Siemens, del gruppo Stet, che al suo interno possiede la forza motrice del colosso delle telecomunicazioni, la Sip. L'azienda cresce, si espande. ANNI SETTANTA. E' il 1975 quando, nel nucleo industriale di Pile, apre i cancelli lo stabilimento Italtel. E' il battesimo ufficiale del polo elettronico: una famiglia aquilana su cinque può contare su un salario Itatel, che raggiunge negli anni Ottanta del secolo scorso, all'epoca della manager Marisa Bellisario, 5mila operai. L'apice del successo. Un numero destinato a decrescere con l'andamento altalenante del mercato, che fa perdere all'azienda quasi 2mila occupati.  La logica del profitto non lascia spazio all'immaginazione. Spuntano i primi prepensionamenti, uniti alla mobilità, che diventano la panacea, il modo più rapido per tamponare le perdite. LE TRASFORMAZIONI. La fabbrica di Pile cambia continuamente cartello, da Italtel a Siemens, mentre spuntano tante piccole aziende satelliti, destinate a vita breve. E' il caso dell'Ada e del Calzaturificio aquilano, entrambe chiuse per fallimento.  La conta dei danni annota 400 dipendenti senza più lavoro. Troppo distanti dalla pensione, troppo anziani per essere ricollocati sul mercato. Quindi, disoccupati. Nel 1996 Italtel stringe un patto con Siemens e cede ai tedeschi il 50 per cento del pacchetto azionario. Spunta un nuovo piano di riorganizzazione, seguito da un processo di "outsourcing", con l'esternalizzazione dei servizi.  La fabbrica, ridotta a 1.700 lavoratori, conosce una fase di declino senza precedenti, che si traduce nella separazione tra Italtel e Siemens. Sarà quest'ultima a gestire lo stabilimento aquilano. I PRIMI ANNI 2000. Nel 2000 nasce Siemens Information and Comunication Networks (Icn), che presenta un piano industriale con 800 esuberi. La città reagisce con una massiccia mobilitazione e dieci giorni di scioperi e blocco delle merci. A distanza di pochi mesi si registra il passaggio di consegne tra Siemens e Flextronics.  L'ennesimo capitolo nero per il polo elettronico, che continua a perdere pezzi: Lares Tecno, Marconi, Policarbo. Realtà satelliti, investite da un rapido declino. Fallisce anche la missione Flextronics: la multinazionale americana, dopo due anni di gestione, abbandona il campo. E' il governo a prendere in mano le redini per tentare un salvataggio in extremis.  La scelta cade su Finmek, amministrata da Tronchetti Provera. Ma dalla Finmek, che nel frattempo cambia sigla in Finmek Solution, al fallimento il passo è breve. A farne le spese sono i 550 operai, ultimo baluardo del polo elettronico, disgregato e aggredito dal mercato globale. Uno stabilimento anziano, non solo per età, dove la riconversione ha fallito più volte il suo intento: mutare il destino di una fabbrica che per decenni ha dato pane e lavoro alle famiglie aquilane. STORIA RECENTE. La storia recente è segnata dalla chiusura dei cancelli dell'azienda, resa inagibile dal sisma del 6 aprile 2009. Il commissariamento della Finmek Solution si traduce in una spada di Damocle per i lavoratori. Sono rimasti in 200. Gli altri hanno trovato, nel tempo, strade diverse: dalla cassa integrazione alla mobilità, nella speranza dell'aggancio alla pensione.  Numeri che si rincorrono e danno l'esatta misura della fine di un'era. Del polo elettronico restano le briciole: il Governo ha avviato, di fatto, la fase della liquidazione per Finmek, che a Sulmona gestisce uno stabilimento analogo a quello aquilano. Per le maestranze si apre una seconda fase di cassa integrazione, stavolta per cessazione di attività.  I sindacati parlano di «un fallimento della politica locale, incapace di affrontare una situazione gravissima». Dell'epopea del polo elettronico resta ben poco: una fabbrica chiusa e desolante. Il rumore delle bobine ha lasciato il posto al silenzio del lavoro che non c'è più.  A nulla sono valse le battaglie del "popolo degli operai" le marce su Roma degli anni Novanta, i tavoli di confronto governativi.  La scritta "Finmek Solution" è stata smantellata. Non servirà più.  Il polo elettronico, con i suoi 5mila lavoratori, è solo un ricordo per una città ferita, che ha sete di occupazione. In questo angolo d'Abruzzo, costretto a fare i conti con la furia della natura, un altro tassello si aggiunge al puzzle della crisi occupazionale, che non risparmia giovani, né lavoratori di mezza età. Quegli stessi operai che hanno creduto nel sogno Italtel prima e Siemens, poi.  Che hanno saputo adattarsi, loro malgrado, al sussidio della cassa integrazione: 800 euro al mese per tirare avanti la famiglia.  La liquidazione della Finmek Solution, tra impegni dei politici e grida d'allarme dei sindacati, non darà spazio al futuro. Mentre i cancelli restano chiusi e il piazzale di Pile desolatamente vuoto. LE LOTTE SINDACALI. Il polo elettronico ha rappresentato la più grande realtà economico-sociale che ha guidato lo sviluppo della città dell'Aquila. Una fabbrica non esente da scioperi e mobilitazioni di piazza, nati dagli innumerevoli passaggi di proprietà che, dalla nascita di Italtel ai nostri giorni, hanno prodotto la perdita continua di posti di lavoro. Era il 1972 quando, tra cortei e picchetti, andò in scena il primo blocco della produzione nello stabilimento di Pile. I lavoratori chiedevano più diritti e stipendi adeguati. Un episodio che vale la pena annotare. Se non altro perché segna l'avvio di un cammino mai interrotto: quello verso la salvaguardia dei posti di lavoro.  In quell'occasione alcune operai furono denunciati, cinque finirono in manette e rinchiusi nel carcere di San Domenico. Vi passarono cinque giorni, mentre fuori un presidio costante di lavoratori ne chiedeva a gran voce la scarcerazione. Nel processo furono tutti prosciolti. E' questa una delle pagine più significative della storia del polo elettronico. Ancora oggi 200 lavoratori lottano per ottenere lavoro, occupazione, uno stipendio a fine mese. Diritti acquisiti, che la logica travolgente del mercato e del profitto non riconosce più.

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