Strage di caprette sbranate dai lupi. L’allarme degli allevatori: «Così non c’è futuro»

Massa d’Albe, è emergenza. L’amarezza di Enrico Cofini dopo aver subito l’ennesimo attacco: «Ne sono morte 37, in questo modo non posso proseguire»
MASSA D’ALBE. Un mestiere, una passione, una vita intera dedicata alla terra e agli animali. Questo era ed è per Enrico Cofini, allevatore di Forme di Massa d'Albe, nel cuore del Parco Sirente Velino, la sua professione. Ma il suo futuro, e quello della sua storica azienda di famiglia, è ora appeso a un filo, minacciato da continui e devastanti attacchi dei lupi. Una battaglia impari che lo sta logorando, costringendolo a scelte dolorose per la sopravvivenza. «Ho 50 anni, sono 27 anni che passo i guai», ha confidato Cofini con la voce rotta dall'amarezza, «volevo portare avanti una tradizione di famiglia, ma non è possibile».
La sua storia è profondamente radicata in queste terre: «Avevo 7 anni quando ho iniziato con mio padre a lavorare sul trattore, la passione per la terra e per gli animali ce l'ho nel sangue». Un'eredità importante, quella del nonno, che contava ben 9mila capi. Ora, purtroppo, Enrico ha dovuto iniziare a fare anche l'autotrasportatore per poter vivere. «Purtroppo», ha continuato, «per pagare errori di altri e far fronte a queste problematiche ho dovuto vendere gran parte dei miei mezzi». La situazione è precipitata con l'intensificarsi degli attacchi.
«Qualche mese fa, in montagna, i lupi mi hanno preso una cavalla che stava partorendo e l'hanno sbranata», ha raccontato, «un altro episodio ha riguardato le caprette. La telecamera che ho sull'allevamento mi ha segnalato movimenti sospetti e quando sono andato ho trovato i lupi dentro. Erano un branco di 7-8. Ho chiamato i carabinieri forestali, ma alla fine i lupi hanno preso le caprette e sono scappati. Un'altra volta ancora è toccato al maiale». L'ultimo attacco, quello che ha fatto traboccare il vaso, è avvenuto nella notte di lunedì. «Ho una rete alta due metri, il cancello chiuso, ero tranquillo», ha proseguito l'allevatore, «invece, hanno scavato e si sono infilati sotto. La mattina, quando sono andato, ne ho trovate tante morte, e purtroppo altre 7-8 stanno morendo. Il bilancio è drammatico me ne hanno sbranate 37 ora, e altre 50 lo scorso anno».
La frustrazione di Cofini è palpabile, specialmente considerando la sua storia. «Ho un bambino di cinque anni», ha aggiunto, «non posso lavorare per dare da mangiare i lupi. Il medico della Asl mi ha detto che non posso contare quelle che sono morte in azienda, quelle che si portano via o sono fuori dal recinto no. Così non si può continuare a portare avanti questo mestiere». La situazione di Enrico Cofini riflette le crescenti difficoltà degli allevatori nelle aree protette, stretti tra la necessità di tutelare la fauna selvatica e la sopravvivenza delle proprie attività. Senza un intervento deciso, la storia di generazioni rischia di interrompersi per sempre. Le perdite non sono solo numeriche ma colpiscono al cuore della sua attività riproduttiva. «Nasce il puledro e prendono e ammazzano il puledro, nasce il vitello e ammazzano il vitello», ha concluso l'allevatore, «è diventata una barzelletta, in questo modo non si può continuare a lavorare».
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