Addio a Mancini, allenatore innamorato di Pescara

Il ricordo dell'ex biancazzurro Pavone: si dovevano trasferire anche moglie e figli

 PESCARA. «Franco a Pescara si trovava bene, la magnificava, Pescara. E a settembre ci avrebbe trasferito tutta la famiglia». Peppino Pavone, direttore sportivo del Foggia, conosceva bene il preparatore dei portieri del Pescara Franco Mancini, morto a 43 anni sabato pomeriggio nella sua casa di via Gobetti, presumibilmente per un infarto. Conosceva bene «Mancio» e conosce bene anche Pescara Pavone che, come calciatore, contribuì alla seconda promozione dei biancazzurri in serie A nella stagione '78- '79, segnando con Nobili i due gol dello spareggio contro il Monza.  «Era il campo neutro del Bologna, era la squadra di Nobili e Zucchini», ricorda Pavone con la voce che si carica di emozione. Un'emozione che però subito si fa amara mentre dice «a Pescara sono tornato proprio questa mattina (ieri ndr), ma per andare all'obitorio». Perchè «Mancio», Pavone l'aveva visto che era un ragazzino. «Arrivò a Foggia che aveva 19 anni, l'avevamo preso dal Matera dove faceva il panettiere, nel senso che la notte davvero faceva il pane e la mattina si andava ad allenare. Con noi, calcisticamente, è cresciuto e maturato fino a spiccare il volo per la sua bella carriera. Lo riprendemmo l'anno scorso, come preparatore dei portieri, ma poi quest'anno ha seguito Zeman». Zeman che per lui era come un padre, Zeman che davvero, come ricorda Pavone, «quando Mancio aveva vent'anni gli aveva fatto da tutor nella vita. Era un rapporto molto forte».  È per questo che ieri mattina, quando l'ha incrociato all'obitorio dell'ospedale pescarese, Pavone non è riuscito a dire niente all'allenatore con cui aveva condiviso quel Foggia dei miracoli e, anche, l'affetto per il portiere che di quella squadra è ancora la bandiera. «Zeman era molto addolorato, non abbiamo parlato se non con lo sguardo. Le parole, oltretutto, non rispecchierebbero gli stati d'animo». E lo stato d'animo è quello di chi ancora non crede a una tragedia del genere: «Siamo rimasti tutti scioccati. Perchè Franco era perfettamente sano, un atleta con una carriera longeva, che ha smesso a 38 anni. Era anche forte fisicamente. Fumava, sì, ma non c'entra niente il fumo. Probabilmente, quando arriva l'ora, ognuno ha il suo destino».  Un ragazzo fantastico Mancini, con la passione per il reggae e la batteria. «A Pescara si trovava bene, ne apprezzava l'entusiasmo delle persone», rivela ancora Pavone, «a Pescara si vive bene, diceva, e so che dal prossimo anno ci avrebbe spostato la famiglia visto che l'anno scorso era stato chiamato quando aveva già iscritto i figli a scuola. Invece c'è stato solo pochi mesi, anche se i tifosi so che già lo apprezzavano». Un affetto che, ieri mattina, è andato a rappresentare in obitorio, ai familiari e alla società, anche il sindaco Luigi Albore Mascia che già pensa a legare il nome di Mancini alla città intitolandogli «una manifestazione, un memoriale, sicuramente qualcosa per ricordarlo».  A Matera, sua città d'origine, il primo cittadino Salvatore Adduce ha già annunciato che intitoleranno a Mancini, «grande campione dello sport e della vita» la sala stampa dello stadio «nel quale è cresciuto calcisticamente. Gli appassionati di calcio, e non solo», ha aggiunto il sindaco, «ricorderanno per sempre con grande affetto quel ragazzone con i capelli ricci, appassionato di musica reggae, che ancora adolescente muoveva i primi passi nel mondo del calcio professionistico per prendere il volo verso il grande palcoscenico nazionale». Un cordoglio che rimbalza da un capo all'altro dell'Italia, seguendo la mappa delle squadre, Foggia, Lazio, Bari, Napoli, dove il portiere aveva giocato. Da Firenze anche Delio Rossi, allenatore dei Viola, affida all'Ansa il suo ricordo: «La morte di Francesco Mancini é una tragedia immane. Lo conoscevo bene, a me ha dato tanto».  «Francesco l'ho conosciuto a Pescara», racconta Vincenzo Marinelli, dirigente e accompagnatore dell'Under 21, «una persona eccezionale. La sua morte improvvisa ha scioccato tutto l'ambiente: per la sua età, per il fatto che fosse uno sportivo. È stata una cosa pazzesca».  Parole che ripete anche Franco Oddo, ex allenatore e papà del giocatore di serie A Massimo Oddo: «Una morte scioccante, anche per come è avvenuta. Uno s'immagina sempre che, a chi fa sport, non possa succedere niente, invece penso, ad esempio, a quello che è capitato a Cassano. La verità è che l'organismo è una macchina così delicata che basta poco. Ma resta sconvolgente. Io non posso dimenticare quello che mi capitò quando insegnavo educazione fisica alla scuola media Antonelli: un alunno di terza durante un torneo di pallavolo ebbe un malore per cui morì dopo pochi giorni. A distanza di tantissimi anni ne ricordo ancora il nome».

© RIPRODUZIONE RISERVATA