I fotoreporter Schirato e Pacini raccontano:"Pedinati e cacciati, incubo nel Sahara occidentale"

I reporter pescaresi: abbiamo documentato le condizioni del popolo saharawi poi siamo stati pedinati per quattro giorni, fermati, interrogati, insultati e messi su un taxi per dieci ore fino ad Agadir

PESCARA. Sono stati pedinati per quattro giorni, fermati, interrogati, insultati e messi su un taxi per dieci ore fino ad Agadir. Erano partiti per il Sahara Occidentale la scorsa settimana per documentare la difficile condizione delle donne e dei giovani saharawi ma il fotografo Stefano Schirato e la giornalista Jenny Pacini sono stati rispediti dalle autorità marocchine in Italia perché ospiti non graditi. «Fortunatamente possiamo raccontare questa disavventura perché siamo tornati a casa ed è andato tutto bene», racconta Schirato, fotografo per numerose riviste e quotidiani internazionali tra cui il New York Times. «Siamo riusciti a salvare il lavoro, anche se non è completo», dice il fotografo tornato domenica insieme alla giornalista.

«E’ stato un incubo», ricorda Pacini, «perché l’intelligence ci ha fatto sentire subito la sua presenza, pedinandoci dal primo giorno con auto e motorini fin quando non ci hanno fermato in auto con il nostro fixer. Otto poliziotti in borghese ci hanno costretti a seguirli in ufficio, filmandoci e fotografandoci durante un interrogatorio in cui volevano che parlassimo in arabo». Avevano scelto di andare nel Sahara Occidentale per raccogliere testimonianze dei giovani saharawi, nati ufficialmente in un Paese che non gli appartiene e che si espongono contro le violenze e le ingiustizie perpetrate dalla politica repressiva marocchina.

Ad accompagnare le interviste di Pacini le foto di Schirato, scatti a giovani e donne vittime di soprusi e di violenze. Ma i due pescaresi sono stati tenuti d’occhio dalle autorità appena arrivati nel Sahara Occidentale nonostante si sono mossi con prudenza e cautela.

«Quando ci hanno fermato il mio più grande timore», riprende Schirato, «era che ci prendessero il materiale che, fortunatamente, non hanno toccato e che diventerà una mostra grazie alla Fondazione PescarAbruzzo mentre media partner è la Fondazione Kennedy per i diritti umani». Dopo aver recuperato i bagagli in hotel, sempre scortati dalle autorità marocchine, i due sono stati messi su un taxi per dieci ore per raggiungere Agadir. Un viaggio interminabile con la paura dei continui colpi di sonno dell’autista «perché», proseguono, «il tassista è stato obbligato a non fermarsi mai mettendo a repentaglio più volte le nostre vite fin quando la notte da incubo non è terminata con l’arrivo ad Agadir». A quel punto, i reporter sono riusciti a prendere l’aereo per tornare in Italia. «Abbiamo sperimentato sulla nostra pelle l’occupazione marocchina nell’ultima colonia africana», concludono, «il lavoro è salvo così riusciremo a raccontare le condizioni della popolazione saharawi». (p. au.)

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