le carte dei carabinieri del nas 

Le indagini partite dopo la denuncia di un papà disperato

PESCARA. È partito tutto dalla denuncia di un papà disperato. «Mio figlio prende gli anabolizzanti per gonfiarsi i muscoli, sono venuto da voi perché voglio salvarlo: si sta devastando», ha detto...

PESCARA. È partito tutto dalla denuncia di un papà disperato. «Mio figlio prende gli anabolizzanti per gonfiarsi i muscoli, sono venuto da voi perché voglio salvarlo: si sta devastando», ha detto davanti ai carabinieri del Nas. Così ha preso il via l’inchiesta «Mr. Muscoli» che, dopo mesi di intercettazioni telefoniche, pedinamenti e sequestri, ha consentito di scoprire un maxi giro di doping tra le province di Pescara, Chieti e Teramo.
Tra i primi a finire nella rete degli investigatori è stato l’ortonese Valerio Di Munno, vincitore del titolo mondiale di fitness Wbff 2016 a Toronto (Canada). «Oltre a fare uso di prodotti dopanti», scrivono gli investigatori, «si impegna nel loro approvvigionamento attraverso canali illegali. Proprio questa sua attitudine ha consentito che l’indagine potesse incanalarsi verso obiettivi separati e scoprire diversi personaggi coinvolti nel traffico nazionale e internazionale di sostanze dopanti».
Gli imputati, sempre secondo l’informativa del Nas, facevano affari d’oro con il doping. Un esempio su tutti: durante una perquisizione sono spuntate undici ricariche su una Postepay per un totale di 13.485,20 euro. Per i carabinieri, sono le prove degli affari «illeciti» di Federico De Lellis. «Dall’intensa attività di importazione e commercio di prodotti ad effetto dopante portata avanti dall’indagato», scrivono gli investigatori, «derivavano lauti guadagni». De Lellis è accusato di rivestire «un ruolo di primo piano nella fitta rete di fornitori e acquirenti di farmaci dopanti». Secondo chi ha indagato, il giovane «si approvvigiona non solo attraverso canali esteri, reperiti evidentemente via internet, ricevendo la merce proveniente in particolare dalla Bulgaria tramite spedizionieri internazionali, ma anche con canali alternativi locali».
Uno di questi, sempre per l’accusa, portava al teatino Stefano Di Muzio. A metterlo nei guai sono stati gli «appunti manoscritti» trovati a casa di De Lellis: gli investigatori sono arrivati anche a lui perché il suo numero telefonico compariva su uno dei fogli sequestrati. Già nel 2015, Di Muzio era finito sotto processo per vicende analoghe. (g.let.)
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