La professoressa Emma Di Carlo del Cesi

Lotta ai tumori, ecco la proteina che rende le cellule più aggressive

Lo studio dell’Unità di anatomia patologica del Cesi di Chieti pubblicato su Cancer Research.  Bloccare l’Interleuchina 30 aprirebbe nuovi scenari per la cura del cancro alla prostata

PESCARA. Si chiama “Interleuchina 30”, ed è associata a quasi il 70% dei casi di carcinoma prostatico di alto grado e stadio. È la “sorvegliata speciale” dell’Unità Operativa di Anatomia patologica e Immuno-oncologia, diretto dalla professoressa Emma Di Carlo, del Centro di Scienze dell’invecchiamento e Medicina traslazionale dell’Università d’Annunzio di Chieti. Riuscire a bloccarla è la “mission” dei ricercatori abruzzesi che la stanno studiando grazie ai fondi di un bando del Ministero della Salute, vinto nel 2015. I soldi sono arrivati nel 2016, e in poco più di un anno sono già disponibili i primi risultati. Il dottor Carlo Sorrentino e la dottoressa Stefania Ciummo, sono i principali autori degli esperimenti.
I medici del laboratorio di Immunologia cellulare dell’Istituto scientifico San Raffaele di Milano, invece, hanno isolato e fornito le cellule staminali di carcinoma prostatico con le quali sono state effettuate le sperimentazioni.
COS’È. Interleuchina 30 è una proteina prodotta dal sistema immunitario, che secondo lo studio abruzzese di prossima pubblicazione sulla rivista Cancer Research, è in grado di condizionare il comportamento delle cellule staminali del cancro alla prostata, rendendole più aggressive. Una molecola, osserva la professoressa Di Carlo, «che ha un ruolo cruciale nell’insorgenza e nella progressione della malattia». Per capire i meccanismi di azione dell’Interleuchina 30 sono stati avviati studi in vitro e in vivo. «Oggi è noto», prosegue Di Carlo, «che le cellule staminali tumorali, cellule rarissime, hanno un ruolo nell’insorgenza ma anche nella metastatizzazione di un tumore, perché hanno una enorme capacità di disseminarsi». Sono loro a causare un ritorno di malattia, anche a distanza di molti anni, quando riescono a sopravvivere alle terapie. A renderle così forti è proprio l’Interleuchina 30, che stimola l’espansione e la prolificazione cellulare. Per dirla in soldoni, «la molecola fa sì che le cellule staminali tumorali sfuggano al controllo da parte del sistema immunitario. Inoltre, favorisce la angiogenesi tumorale (la capacità, da parte di un tumore, di formare una rete di vasi attraverso i quali si alimenta, ndr), e la metastatizzazione.
LA SFIDA. A questo punto i ricercatori hanno pensato di “bloccare” la molecola e valutarne gli effetti. «Attraverso tecniche di ingegneria genetica», spiega la professoressa Di Carlo, «nelle cellule staminali tumorali abbiamo bloccato la sintesi dell’Interleuchina 30». I risultati sono stati sorprendenti: «Abbiamo riscontrato», prosegue la ricercatrice, «un rallentamento della proliferazione e della capacità di rinnovamento in vivo. Nei topi abbiamo riscontrato che le cellule che avevano subito il “silenziamento” del gene dell’Interleuchina 30 erano meno tumorigeniche. Un numero altissimo non sviluppava il tumore, e nei pochissimi casi in cui avveniva, la crescita tumorale era lentissima». In sintesi, il blocco della produzione di questa molecola nelle cellule tumorali «ostacola l’insorgenza di questo cancro o ne rallenta significativamente la progressione e la metastatizzazione. Stiamo scoprendo e bloccando i meccanismi usati da questa molecola per favorire il tumore »Al contrario, nei soggetti nei quali l’Interleuchina 30 non era stata “soppressa”, si è assistito a una disseminazione sistemica di cellule tumorali. Si lavora anche sul fronte delle nano-tecnologie, sempre per cercare di bloccare in maniera selettiva, a livello prostatico, la produzione della molecola attraverso dei nano-vettori..
L’ARMA. L’immuno-oncologia oggi sta diventando una scienza di primaria importanza, per individuare terapie immunologiche personalizzate. «L’obiettivo», spiega la professoressa Di Carlo, «è curare o prevenire le patologie oncologica sfruttando le potenzialità del sistema immunitario». Altro obiettivo è quello di estirpare tutte cellule malate, ma in maniera personalizzata. «In questo senso», spiega Di Carlo, «lo studio del cosiddetto micro ambiente tumorale del singolo paziente è importante».
L’ORIZZONTE. Dopo il cancro alla prostata lo studio riguarderà anche il carcinoma mammario. L’anno scorso, infatti, la molecola è stata riscontrata in 150 casi di tumori mammari con caratteristiche di maggiore malignità (il cosiddetto carcinoma triplo negativo con Her2 positivo). Al momento, la presenza di Interleuchina 30, viene considerata un indicatore prognostico.
In questo momento nel laboratorio è in corso un esperimento con alcuni topi “prestati” dalla Cina e dall’America, animali modificati geneticamente e che non producono Interleuchina 30. «Stiamo notando che in assenza della capacità di produrre quella molecola, si riduce di molto il rischio di insorgenza».