«Si fa politica solo per sistemarsi Troppi quattrini e nessun leader»

Parla l’ex sindaco, oggi 87enne: «Le mele marce della mia epoca erano ladri di polli rispetto a oggi L’attuale giunta sta operando bene, ma Mascia manca di coraggio e dev’essere più presenzialista»

PESCARA. Si avvicinò alla politica convinto da un caro amico e divenne per caso prima consigliere comunale, poi assessore (ruolo che mantenne per dieci) e infine sindaco per due anni e mezzo, dal 1988 al '90. Parliamo di Michele De Martiis, primo cittadino di Pescara dopo Nevio Piscione e prima di Giuseppe Ciccantelli. Oggi ha 87 anni e da oltre venti non si occupa più di politica, ma la segue e ha un'idea ben chiara di quello che è stato il suo periodo e dell'attuale situazione politico-amministrativa.

In che modo si avvicinò alla politica?

«Il primo contatto risale al lontano 1948, quando avevo solo 22 anni. Coinvolto dall'amico Gaetano Novello, mi iscrissi alla Democrazia cristiana, ma senza mai frequentare il partito perché a causa della scomparsa prematura di mio padre dovetti subito cominciare a lavorare. Di fatto, divenni il capofamiglia. Dopo le prime esperienze lavorative, entrai allo Iacp, l'Istituto autonomo case popolari come geometra, restai lì 32 anni e fui anche direttore dei lavori, dunque non avevo tempo di fare politica».

E allora come arrivò a fare l'amministratore pubblico?

«Per caso, nel senso che l'amico Novello mi chiese di presentare la mia candidatura alle elezioni comunali, visto che lui voleva presentarsi a quelle regionali. In quel periodo la Dc aveva tre tronconi, quello di Casalini, quello di Quieti e quello di Novello e io non sapevo dove poter recuperare voti. Poi, invece, i tanti residenti delle case popolari che mi conoscevano decisero di votarmi e risultai addirittura uno dei primi eletti».

Ma restò per poco tempo consigliere?

«Sì, solo per un anno, poi l'assessore di riferimento di Novello in giunta, Giuliano Torlontano, si dimise e io presi il suo posto e divenni assessore all'Edilizia e all'Urbanistica. Mantenni questo incarico per ben dieci anni».

Che situazione c'era negli anni Ottanta a livello edilizio?

«Fu un periodo molto turbolento, io riportai su l'ufficio e rimisi a posto le varie del settore comunale. In quegli anni non si ebbero scandali, io pensai solo a lavorare e lasciai da parte politica e partito. Sulla mia scrivania non c'è mai stato un bigliettino da visita della Dc. Ricevetti solo una comunicazione giudiziaria perché il prefetto d'assalto mi contestò di aver dato l'autorizzazione per lo spostamento di un tramezzo e invece secondo lui avrei dovuto dare una concessione edilizia. Venni accusato di abuso edilizio, ma poi assolto perché il fatto non sussisteva».

Però, come ha sottolineato lei, quelli furono anni turbolenti.

«Sì, ogni tanto dall'archivio sparivano delle pratiche riguardanti soprattutto gli asservimenti, ossia i terreni che venivano lasciati dai costruttori per spazi pubblici o di verde. Chiesi a un giovane architetto di prendere la mappa di Pescara e segnare tutti i terreni asserviti nell'attesa che riuscissero le pratiche. Nel frattempo, feci anche una denuncia alla magistratura. Con me andavano avanti solo le pratiche che meritavano veramente e quando mi accorsi che il mio segretario mandava avanti altre pratiche non rispettando l'ordine cronologico, non esitai a licenziarlo».

Poi per caso diventò anche sindaco, in seguito all'arresto del suo predecessore.

«Non mi avrebbero mai fatto sindaco, si poteva diventarlo o per la cultura e la carriera politica o bisognava avere il cosiddetto pacchetto di tessere della Dc, ma io avevo solo quella mia. Oppure si dovevano accettare soldi dalle imprese. Politicamente non ero considerato. Poi successe che il sindaco e quasi tutta la giunta finirono sotto accusa per l'assunzione di alcuni dipendenti appartenenti alle categorie protette e il primo cittadino decadde. Tra gli assessori, stranamente, ero colui ad aver ottenuto un voto in più e grazie a quel voto venni nominato sindaco vicario facente funzioni. Così, cominciò la mia avventura».

Un'avventura che le piacque?

«Fu un lavoro bestiale, io poi ricevevo tutti. In quel periodo inoltre non è come adesso che firmano tutto i dirigenti, prima la responsabilità era tutta del sindaco. Non volli l'auto e la mattina andavo a piedi in Comune, mentre nel pomeriggio vedevo tutte le carte e firmavo e quelle che non risultavano a posto le valutavo. Bloccai tutti i lavori affidati privatamente, volevo solo appalti pubblici».

Quali furono i principali impegni?

«Lavorai molto per l'aeroporto che operava solo di giorno per l'assenza delle luci sulla pista, mancavano la caserma dei vigili del fuoco e quella della guardia di finanza. Con Gaspari ministro ottenni tutto. La stazione era stata da poco inaugurata ma tutta l'area di risulta era transennata e chiusa, facemmo venire qui il ministro che però chiese una cifra spropositata per l'acquisto dell'area. Io, allora, tolsi le sbarre ai passaggi pedonali e collegai quelle che definivo le due città. Mi occupai del mercato ortofrutticolo, dismettendo quello angusto del lungomare per aprire quello nuovo grazie a un consorzio sorto insieme alla Camera di Commercio, presieduta da Ezio Ardizzi, che ottenne i fondi. Portai a termine anche il completamento delle vasche del depuratore».

E i problemi principali?

«Uno fu sicuramente quello della spazzatura a causa dei soliti pretori d'assalto che bloccarono le discariche. I rifiuti restarono nelle strade della città per tre, quattro giorni. Allora decisi di mandare la spazzatura a Foggia con i camion utilizzando il denaro previsto per la tinteggiatura esterna del Comune. A livello politico ebbi problemi con i capigruppo: qualsiasi cosa decidessi di fare dovevo riunirli: tra le delibere che mi bocciarono ci fu quella del progetto per il nuovo tribunale, fui costretto a ritirarla».

Quali sono i ricordi più belli?

«Uno è sicuramente legato alla grande adunata di migliaia di alpini che animò la città. Cominciammo a prepararlo un anno prima andando a studiare la città che lo ospitò prima di noi. Ricordo che affittammo centinaia di bagni chimici e nelle strade furono installate centinaia di cabine telefoniche. Gli alpini si sistemarono anche nelle aiuole e io ero preoccupato, ma loro mi dissero che avrebbero lasciato la città più pulita di prima e così fu».

Poi nel '90, dopo le elezioni, non la confermarono sindaco.

«Io speravo di restare sindaco, ma la prima avvisaglia negativa fu che non venni scelto come capolista. Presi quasi cinquemila voti, pur non avendo i galoppini, ma Ciccantelli, che venne nominato sindaco, aveva l'appoggio di tutto il partito. Accettai senza lamentarmi e dissi che avevo la mia professione e che sarei tornato a fare il mio lavoro. Restai come consigliere rifiutando l'incarico di assessore fino agli arresti che decapitarono la giunta. Con il notaio Bulferi fui il primo a dimettermi e lì terminò la mia carriera amministrativa».

Le hanno mai chiesto di tornare? E avrebbe rifatto il sindaco?

«Tranne i cittadini, nessuno me l'ha mai chiesto. Sarei tornato a fare il sindaco perché è un'esperienza esaltante se non ci si monta la testa».

La soddisfazione più grande?

«Il calore della gente che ancora oggi mi ferma, mi dà la mano e mi saluta».

Che parere ha degli attuali amministratori?

«L'attuale giunta sta operando bene, ma devo muovere due appunti verso il sindaco Mascia: deve essere più presenzialista, fa molte cose ma non le fa sapere, dovrebbe essere più a contatto con i suoi cittadini. Poi dovrebbe essere più coraggioso, quando c'è da decidere bisogna decidere e mi riferisco ai problemi della draga».

E dell'attuale politica che giudizio dà?

«Rispetto a oggi le mele marce della mia epoca erano solo dei ladruncoli, dei ladri di polli. Noi facevamo politica perché ci piaceva, non vedevamo soldi. Oggi ci sono troppi quattrini, la politica dovrebbe avere meno soldi, va fatta per passione. Oggi fare politica vuol dire sistemarsi. Non mi piace la frammentazione in gruppi, ognuno vuol essere capo di un gruppo e nascono partiti e movimenti come funghi. Poi nessun partito ha un leader, mancano leader a ogni latitudine, così ognuno cerca di farlo, ma bisogna avere il carisma per esserlo».

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