Miami - Pescara Per Gelsi è sempre estate

A 45 anni gestisce uno stabilimento balneare e negli States insegna calcio ai bambini

di Antonio De Leonardis

PESCARA

Del Pescara Michele Gelsi è stato capitano e leader. Nove stagioni in biancazzurro, più di 300 presenze, tutte in B, e 49 gol, una promozione in serie A nel '92 col Galeone, altre imprese sfiorate di un soffio con Reja e Delio Rossi e soprattutto con De Canio, un legame speciale con Pescara, la città dove ha messo radici, dopo averla scoperta nell'89 e che non si sognerebbe mai di lasciare, nemmeno ora che è diventato americano part time.

Sei mesi l'anno in riva all'Adriatico, dove gestisce uno stabilimento balneare che è un piccolo gioiello, gli altri sei al di là dell'Oceano. Ed è proprio lì, a Miami, che ha ritrovato il suo feeling col calcio, dopo aver staccato per qualche anno la spina. «Andai lì da turista assieme a mia moglie Barbara- racconta- ci tornai con l'idea di avviare un'attività, magari un bar, una caffetteria, l'incontro con due ragazzi italiani, Cristian Di Russi e Stefano Ledda, mi aprì altri orizzonti. Oggi a Miami gestisco un centro sportivo con due campi di calcetto e tre gabbie, quelle che si usano a Livorno e che Orrico portò anche in A quando allenò l'Inter, ho cento ragazzini tra i 5 e i 12 anni iscritti alla scuola calcio, a settembre, quando tornerò in America, probabilmente saranno il doppio visto che apriremo il centro sportivo anche ai giovani fino ai 17 anni. Un lavoro che mi sta dando enormi soddisfazioni e, grazie a Chiellini, mio ex compagno di squadra a Livorno, il centro ha anche il marchio Juve che non è cosa da poco».

Con i giovani, per la verità, Gelsi, avrebbe potuto lavorare anche con il Pescara, qualche anno dopo aver chiuso la carriera da calciatore in serie D, con la maglia della Renato Curi Angolana: «Fu Delli Carri a propormi di entrare nel settore giovanile biancazzurro. Non me la sentii, preferii fare l'osservatore per il Mantova, la società con la quale avevo conquistato la mia ultima promozione e con la quale avevo mantenuto ottimi contatti. Consigliai, tra gli altri, il portiere Iacobucci, che proprio col Mantova ha iniziato una discreta carriera, ma capii in fretta che non era quella la strada che volevo percorrere, in un calcio che sentivo lontano dai miei principi, dal modo di affrontare la professione, anche dai sogni che mi ero portato dietro da ragazzino quando partii per iniziare la mia lunga e bella avventura nel mondo del pallone».

Aveva 13 anni quando lasciò l'Isola d'Elba, a 18, a Firenze, indossava la stessa maglia di Socrates e Passarella, Antognoni e Oriali, due campioni del mondo: «Per avere il primo contratto dovevi aver giocato almeno 9 partite in serie A o 16 in B, oggi bastano due apparizioni azzeccate in prima squadra per diventare un fenomeno. Quando feci l'esordio in A me ne tornai a casa con la maglia della Fiorentina, al rientro per la ripresa degli allenamenti il presidente Baretti mi fece pagare l'intera divisa. E poi il rispetto nei confronti dei più anziani del gruppo o di quelli che erano autentici campioni. Regole non scritte che nel calcio di oggi, nella maggior parte dei casi, non valgono nulla. Arabi, russi e tv, con i loro investimenti pazzeschi, hanno stravolto il calcio, contribuendo a tirar fuori il peggio da un ambiente che in un tempo nemmeno troppo lontano aveva ben altri valori. Le squadre spesso le fanno direttamente procuratori che vanno ben oltre il sacrosanto diritto di tutelare i loro assistiti, fai fatica a capire il perché di certe scelte anche per quel che riguarda gli allenatori. Io ho avuto Somma ad Arezzo, avrei giurato che avrebbe fatto una grande carriera e invece oggi è praticamente stato fatto fuori dal giro delle panchine».

Il Motivo? «Non so dare una risposta logica e credo che il suo non sia per niente un caso isolato. Non è un problema da poco visto che, almeno a mio avviso, la scelta di un allenatore resta fondamentale per le fortune o le sciagure di una società. Una convinzione questa che ho maturato proprio durante la mia lunga esperienza con la maglia biancazzurra. Ho apprezzato subito la professionalità e il carattere di Reja che proprio a Pescara faceva il suo esordio in panchina, ho un ricordo splendido delle stagioni con Franco Oddo e Delio Rossi, due martelli sul lavoro capaci di tirar fuori il massimo dal loro gruppo, ho scoperto la personalità di De Canio, con il quale arrivammo a un soffio dalla serie A, resta un punto di riferimento importante Mazzone che ebbe solo la sfortuna di capitare a Pescara nell'anno sbagliato, mi son goduto i momenti più belli dell'era Galeone».

Filo conduttore di questa carrellata di allenatori non sempre vincenti ma tutti di grande spessore, il gioco, la capacità di tirare su una squadra con una chiara identità, che abbia voglia di giocarsela contro tutti: «Il segreto per far bene a Pescara è tutto qui. Dopo 25 anni, questa è la mia città, se mi sono integrato è perché l'ho capita, l'ho sentita parte del mio modo di vivere. Ho vinto anche a Mantova, a Perugia, ad Arezzo, ma qui è tutta un'altra cosa. Ti senti partecipe, ti senti un calciatore vero, anche la serie B ti va stretta. L'anno della promozione con Galeone fu stupendo, capimmo subito, anche per come il tecnico gestiva il gruppo e per la mentalità che diede subito alla squadra, che ci saremmo divertiti con il nostro calcio senza complessi. Massara lì davanti faceva male quando partiva in quarta, c'era un giusto mix tra giocatori di esperienza e giovani di qualità, il 4-3-3 era perfetto per esprimere quel tipo di calcio che, non a caso, infiammò in fretta il pubblico pescarese».

Adesso tocca a Pasquale Marino. «Mi sembra che sia partito allo stesso modo, con idee subito chiare, con la voglia di dare alla squadra un gioco propositivo. Io l'ho avuto per due mesi ad Arezzo prima di passare al Mantova, credo che, per come sta costruendo la sua squadra sia un allenatore da accostare al Gale e a Zeman. E' una persona seria, ha carisma e mestiere per guidare e tenere sotto controllo il gruppo, si avvale della collaborazione di Mezzini che è senz'altro un ottimo secondo, sta facendo nel tempo giusto le sue scelte senza tenere nessuno in disparte, accanto a giovani di qualità ha un elemento come Cutolo che nella categoria è in grado di fare la differenza, credo che sia stato importante anche confermare Sforzini, giocatore fondamentale una volta ritrovata la migliore condizione. A conti fatti, mi sembra che si sia partiti col piede giusto. La maggiore incognita dopo la disastrosa stagione in serie A era proprio questa. E invece, a poco più di due mesi dalla retrocessione, ci accorgiamo di avere una società più solida, capace di avviare un progetto che favorisca il rilancio, una squadra rinnovata nel modo giusto e con una guida più che affidabile, un pubblico ritrovato che ha assorbito in fretta delusioni cocenti. Insomma, per idee, età media dell'organico messo su, per mentalità di gioco mi sembra che questo Pescara abbia tutte le carte in regola per recitare un ruolo da protagonista nel prossimo campionato di serie B. E se proprio la devo dire tutta, non vedo in questo momento una squadra più forte di quella biancazzurra. Parola di ex capitano che, anche dall'altra parte del mondo, da settembre in poi continuerà a seguire con passione e calore in tv e su internet la sua squadra del cuore…».

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