Ex Tercas, condannati Di Matteo e Nisii 

All’ex direttore generale 4 anni e 7 mesi, all’ex presidente un anno e 6 mesi. Cadute tutte le accuse relative al presunto crac

TERAMO. È la verità giudiziaria di una sentenza di primo grado arrivata a nove anni dal commissariamento della ex banca Tercas. Ma il pronunciamento dei giudici della nona sezione penale del tribunale di Roma (tra novanta giorni le motivazioni) offre sicuramente, al di là di ogni tecnicismo giuridico, una ulteriore chiave di lettura per una vicenda che resta complessa e sfaccettata. Con la prima certezza di un tribunale che ha assolto gli imputati da tutti i reati riguardanti il presunto crac della ex Tercas (fatti avvenuti prima dell’acquisizione della Banca Popolare di Bari) stabilendo, nei fatti, l’insussistenza dello stesso crac.
Il collegio presieduto da Valentina Valentini ( a latere Ornella Teresa Dezio e Fabrizio Suriani) ha condannato a quattro anni e sette mesi l’ex direttore generale Antonio Di Matteo per una ipotesi di bancarotta preferenziale, una ipotesi di ostacolo alla vigilanza e una ipotesi di riciclaggio non collegati al presunto crac. L’ex direttore è stato assolto con la formula più ampia del fatto non sussiste da tutte le accuse di bancarotta fraudolenta, appropriazione indebita e associazione a delinquere riguardanti la ex Tercas. Esclusa da ogni accusa la circostanza aggravante della transnazionalità e concesse le attenuanti generiche. Per lui, assistito dagli avvocati Claudia Di Matteo (la figlia) e Massimo Krogh, la Procura aveva chiesto la condanna ad otto anni. L’ex presidente Lino Nisii è stato condannato a un anno e sei mesi di reclusione per una sola ipotesi di ostacolo alla vigilanza non collegata ai fatti riguardanti la ex Tercas ma relativa a presunti legami dell’allora istituto con una banca sammarinense. Per la stessa ipotesi di ostacolo alla vigilanza è stato condannato a un anno e tre mesi l’imprenditore avezzanese delle tv Francescantonio Di Stefano (assolto con formula piena dalle altre accuse). L’imprenditore edile Raffaele Di Mario (dal cui crac finanziario all’epoca partì l’inchiesta della Procura romana) è stato condannato, solo per le ipotesi di bancarotta preferenziale, a tre anni e dieci mesi. Assolto da tutti gli altri reati e anche per lui i giudici hanno escluso la circostanza aggravante della transnazionalità. Assolti con formula piena gli altri imputati Gianpiero Samorì, Pancrazio Natali, Pierino Isoldi, Cosimo De Rosa, Cinzia Ciampani e Lucio Giulio Capasso. Il collegio ha dichiarato il non doversi procedere nei confronti di Gilberto Sacrati per intervenuta prescrizione.
Per quanto riguarda le parti civili il tribunale, così si legge nel dispositivo, ha condannato Di Matteo, Nisii e Di Stefano «al risarcimento dei danni in favore della parte civile Banca Di Italia da liquidarsi in separato giudizio civile». Sempre per quando riguarda le parti civili il collegio ha condannato Di Matteo e Di Mario, si legge sempre nel dispositivo, «al risarcimento dei danni in favore della parte civile fallimento Dima Costruzioni spa da liquidarsi in separato giudizio civile». Il collegio, è scritto ancora nel dispositivo, «ha rigettato la domanda di risarcimento dei danni proposta dalla Bper Spa». Il processo, iniziato nel 2015 e che nel corso degli anni ha visto il cambio di numerosi collegi giudicanti, è quello nato dalla maxi inchiesta della Procura romana prima sul crac Di Mario e successivamente sul coinvolgimento della ex Tercas poi commissariata dalla Banca d’Italia. Un tribunale, quello romano, che all’inizio del processo ha stabilito che il procedimento restasse nella capitale respingendo tutte le eccezioni presentate dalle difese, a cominciare da quella dell’incompetenza territoriale del collegio giudicante. Secondo i legali, infatti, il processo doveva essere spostato a Teramo ma così non fu. Ora il caso si sposta in Appello.
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