Teramo, la Asl sborsa 5 milioni per far indossare le divise

A tanto ammontano le conciliazioni in corso con più di 1.500 dipendenti dopo cento sentenze che condannano l’azienda a pagare i tempi per la vestizione

TERAMO. Più di cinque milioni di euro per pagare il tempo impiegato dal personale non medico a indossare la divisa. Li sborserà a giorni la Asl di Teramo dopo una serie di sentenze del giudice del lavoro che ha condannato la Asl a pagare per gli arretrati degli ultimi 5 anni somme che vanno dai tremila, ai quattromila, ai cinquemila euro a dipendente.

Ormai sono più di cento le sentenze favorevoli ai lavoratori, per cui la Asl ha deciso di arrivare a conciliazioni con il singolo dipendente o con il sindacato che lo rappresenta, in modo da evitare almeno l’aggravio delle spese legali, che sono in media di 500 euro a procedimento (più quelle per il proprio legale). Infatti le cause sono più di 300.

In sostanza proprio in questi giorni si stanno facendo i conti della somma totale che l’azienda dovrà pagare ai dipendenti che ne hanno fatto richiesta. E si arriva ben sopra i 5 milioni di euro. Fra cause davanti al giudice del lavoro e semplici richieste presentate all’azienda sanitaria, infatti, più del 95% dei dipendenti della Asl – più di 1.500 – che indossa una divisa ha fatto richiesta della monetizzazione dei minuti impiegati a vestirsi e svestirsi. Il giudice ha reputato che sono necessari, per questa operazione, 15 minuti a turno. Quindici minuti moltiplicati per ogni turno per gli ultimi 5 anni, in quanto dopo scatta la prescrizione.

In questi giorni, acquisito il parere del collegio dei revisori, saranno compilati i verbali per la conciliazione, poi si procederà alla liquidazione degli arretrati. La situazione, dal 1° gennaio 2015, è comunque stata sanata. A metà novembre dello scorso anno, infatti, il direttore generale Roberto Fagnano ha firmato un accordo con i sindacati, secondo cui coloro che devono indossare una divisa (infermieri, Oss, tecnici di radiologia, ad esempio) hanno diritto a 10 minuti all’entrata e all’uscita calcolati nell’orario di lavoro.

A dar fuoco alle poveri, nel 2012, è stato il sindacato Nursind. Precedentemente c’erano state delle schermaglie con i sindacati, che però non avevano portato risultati. «Noi prima abbiamo cercato un accordo con l’azienda», ricorda Giuseppe De Zolt, segretario del Nursind, «ma quando questa ci ha detto che non ci avrebbe riconosciuto nulla, siamo stati costretti a far valere le nostre ragioni davanti al giudice del lavoro: non c'era alternativa». De Zolt spiega che non tutto il personale del comparto (i medici hanno un altro tipo di contratto) hanno diritto al riconoscimento del tempo per indossare e dismettere la divisa: «Riguarda tutto il personale del comparto che è obbligato a indossare la divisa, dai pantaloni alle scarpe, alla casacca, al camice. Non basta dover indossare solo il camice.

E' l'azienda che decide chi deve mettere la divisa e chi no. Il tribunale del lavoro ha riconosciuto che indossare e dismettere la divisa costituisce “tempo di lavoro” perché ogni operazione preliminare del genere è propedeutica e necessaria per lo svolgimento dell’attività lavorativa. Lo dice anche la Cassazione: “Sono da comprendere nelle ore di lavoro effettivo, come tali da retribuire, anche le attività preparatorie o successive all’attività lavorativa, purché eterodirette dal datore di lavoro”. Quella ottenuta è una vittoria storica, noi facciamo sindacato da tre anni e abbiamo ottenuto un risultato che sindacati “storici” hanno raggiunto solo grazie alle nostre cause che hanno fatto da apripista».

©RIPRODUZIONE RISERVATA