Una palestra di roccia sulle Alpi per non dimenticare Pacchione

L’intitolazione a due anni dalla morte del finanziere di Silvi durante una scalata di addestramento. La via di arrampicata aperta da lui. La mamma: «Con il suo lavoro si era messo al servizio degli altri»
TERAMO. Due anni dopo la tragedia, il ragazzo con la montagna nel cuore e nella testa avrà per sempre un posto speciale nelle sue amate Alpi Giulie. Una palestra di roccia porterà il nome del 28enne finanziere di Silvi Giulio Alberto Pacchione, morto con un collega il 16 agosto del 2023 sulle Alpi durante una scalata di addestramento di entrambi che erano tecnici del Soccorso delle Fiamme Gialle. È la palestra di roccia, la via di arrampicata, che lui stava aprendo in quei giorni e che si suoi colleghi e amici hanno ultimato nel suo ricordo. È finita, attende solo le autorizzazioni necessarie per l’apertura.
Chi vive di montagna sa che è un posto della memoria, un luogo dove il passato si conserva più a lungo e dove tutto diventa memoria collettiva. Come il monumento inaugurato l’anno scorso nel piazzale della caserma di Tarvisio in cui il 28enne e il suo collega facevano servizio, come la lapide sulla parete nord del Piccolo Mangart dove avvenne l’incidente e la medaglia d’oro alla memoria assegnata dal Premio internazionale di solidarietà alpina. Anche quest’anno il 26 cerimonia a Tarvisio nel piazzale della caserma e poi la notte tra il 16 e il 17 agosto, quella della tragedia, tutti insieme in tenda davanti a quella montagna che il 28enne di Silvi amava così tanto da trasferirsi a 14 anni in Friuli Venezia Giulia per studiare diventando prima maestro di sci, poi finanziere e tecnico soccorritore del gruppo specializzato delle Fiamme gialle. «Bisogna sempre avere una visione di noi all’interno di una società», dice mamma Adima Lamborghini, medico pediatra di Silvi come il marito Dario, famiglia conosciuta e benvoluta da tutta la cittadinanza, «mio figlio l’aveva trovata mettendosi al servizio degli altri nei soccorsi. I suoi amici e i suoi colleghi mi hanno detto che ne aveva fatti tanti, che era intervenuto in tantissime occasioni anche in situazioni molto difficili. Lo abbiamo saputo dopo la sua morte, perché per lui era normale non dire niente».Giulio Alberto e il suo collega Lorenzo quel giorno di un anno fa stavano facendo una scalata di addestramento sul monte Mangart, al confine tra Italia e Slovenia. I due, alpinisti esperti, stavano risalendo la via Piussi, un sesto grado che percorre il verticale pilastro Nord, quando a causa del distacco di una roccia che li colpì caddero per diverse decine di metri. I soccorritori li trovarono ancora legati in cordata. «Avevano fatto tante arrampicate e scalate insieme», dice mamma Adima, «erano una squadra molto affiatata, due ragazzi uniti dalla grande passione per la montagna e per la Finanza. E in questa occasione voglio ringraziare ancora tutta la Finanza per la vicinanza a noi familiari e in particolare l’ex comandante provinciale colonnello Fabrizio Chirico».
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