Abruzzo, crollano gli investimenti

Poca innovazione, solo un quinto delle imprese ha fiducia nella ripresa

PESCARA. Il secondo semestre 2011 è stato duro, il primo semestre del 2012 sarà durissimo «e il dopo ferie sarà lunghissimo», dice preoccupato il presidente di Confindustria Abruzzo Mauro Angelucci presentando l'indagine semestrale sull'industria abruzzese.

«E non so quante imprese riapriranno dopo le ferie», aggiunge il presidente. Sulle cause della crisi, fatta salva la tempesta in corso sui mercati internazionali, Angelucci sottolinea la scarsa attrattività dell'Italia per gli investimenti esteri e la mancanza di certezza del diritto per chi investe. «Il dibattito si è concentrato sull'articolo 18, ma il problena vero», dice Angelucci «è che non c'è lavoro». E se non c'è lavoro è perché non si fanno quelle riforme a costo zero che potrebbero rendere più attrattivo anche un territorio come l'Abruzzo.

È il presidente di Confindustria Pescara Enrico Marramiero a citarne due già in itinere: i poli d'innovazione e le reti d'impresa, «ma si tratta di strumenti che da soli non saranno sufficienti a superare la crisi».

In realtà nessuno sa esattamente quale può essere la ricetta vincente: denaro e fiducia, probabilmente, come esemplifica il direttore generale di Banca Tercas Dario Pilla. Ma anche responsabilità. Sulla responsabilità delle imprese di fronte alla crisi punta l'attenzione Silvano Pagliuca, consigliere incaricato del Centro studi Confindustria Abruzzo: «Le imprese italiane non sono presenti negli asset più importanti del mondo, come informatica o energie alternative. Negli anni Novanta non siamo stati capaci di innovare, ci siamo appiattiti sull'offerta e ora molte imprese rischiano di sparire».

A proposito di innovazione, il dato più preoccupante che emerge dall'indagine è relativo agli investimenti, che sono stati effettuati da meno di un quinto delle imprese abruzzesi. Non si registrano investimenti nella maggior parte dei settori produttivi, tra cui quello metalmeccanico, quello dei prodotti per l'edilizia e quello tessile. Investimenti sono stati effettuati, invece, da più della meta delle imprese coinvolte nell'indagine nel settore farmaceutico e dell'elettronica, che sono poi gli unici settori, assieme all'alimentare dove si assume ancora, fa notare l'economista Luciano Fratocchi.

Nel 2012 andrà peggio. Secondo l'indagine, nei primi sei mesi di quest'anno non si registreranno investimenti in alcun settore, ad eccezione di quello dell'elettronica (circa il 40% delle imprese si dice intenzionato ad investire).
Su questo dato punta il direttore Banca Tercas Dario Pilla per bacchettare le imprese e difendere il lavoro degli istituti di credito: «Non è vero che le banche non concedono crediti. La verità è che manca la domanda di credito. Non ci sono domande per gli investimenti. Noi abbiamo accolto il 90% delle richieste creditizie, nel 60% dei casi abbiamo deliberato senza modifica. Le erogazioni sono aumentate del 20%: dov'è la carenza? Non ci possiamo sostituire ad altri e se la pubblica amministrazione non paga non possiamo anticipare noi tutto». E comunque le banche sono anche chiamate dall'Europa a essere più prudenti. Con le regole di Basilea 3 (che comporterà per Tercas come per le altre banche la sottoscrizione di un aumento di capitale) diminuiranno i margini d'azione perché alle banche verranno chieste più garanzie patrimoniali rispetto all'attivo, cioè alla massa del denaro prestato.

Qui entra in scena la politica. E alla politica fa appello il presidente di Ance Abruzzo Antonio D'Intino, perché a fronte della crisi che investe il settore in Abruzzo (-400 imprese edili iscritte nel 2011) e alla diminuzione di commesse dal pubblico, si dia possibilità ai privati di ottenere incentivi per riqualificare il costruito. «Se la Regione recepisse il decreto sviluppo potremmo aprire 4mila cantieri e dare lavoro a 10mila edili nel corso del primo anno».

Il capogruppo del Pd in Consiglio regionale Camillo D'Alessandro chiede che l'Abruzzo torni a giocare sul tavolo nazionale delle infrastrutture e se la prende con il ministro Fabrizio Barca che invece considera quella partita chiusa («Il Patto deve tornare a essere vertenza», dice l'esponente Pd).

Ma attenzione a parlare di infrastrutture, avverte l'economista Giuseppe Mauro. Perché «le infrastrutture materiali senza le infrastrutture immateriali rischierebbero di favorire solo le regioni vicine». La digitalizzazione dell'economia (banda larga innanzitutto) è per Mauro una delle strategia per uscire dalla «dittatura dell'austerità» e riprendere a crescere. Le altre sono l'attrattività, che Mauro declina con una maggiore flessibilità del lavoro, il "doing business" la politica delle start-up, l'internazionalizzazione (che non è solo export ma anche investimenti nei mercati esteri) e modello manifatturiero-terziario. Una integrazione necessaria secondo l'economista ma oggi poco praticata.

Occorre dunque un cambio di passo che deve essere anche un cambio culturale. L'assessore Alfredo Castiglione lamenta per esempio resistenze e difficoltà da parte anche delle associazioni di categoria ad abbracciare il cambiamento. «Ognuno pensa per sè», dice Castiglione, facendo l'esempio del sindacato che ricorre contro la legge dei consorzi, o dell'Artigiancassa che ricorre contro la riforma dei Confidi.

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