Abruzzo, il vero patto si fa ora

di Sergio Baraldi

Ci sono stati molti interessanti commenti sull’esito della riunione a Roma tra il vertice istituzionale, economico, sindacale dell’Abruzzo e il governo alla fine del quale i fondi Fas sono stati confermati. Siamo passati dallo “storico“ di Chiodi al giudizio cauto di Legnini del Pd. Ma quasi nessuno ha osservato una questione che vorrei sottoporre all’attenzione dei lettori: in realtà, il vero Patto del lavoro deve essere stipulato adesso. E questo comporta un’assunzione di responsabilità della politica, ma anche delle imprese e dei sindacati. Anzi, di tutta la collettività.

Il vertice di Roma, nella sostanza, ci ha riconosciuto stanziamenti che, sulla carta erano già nostri. Hanno, quindi, sbagliato coloro che hanno espresso una valutazione positiva? Questo è l’esito paradossale del vertice: il governo ha firmato per la seconda volta la cambiale con l’Abruzzo, ma se teniamo conto della drammatica situazione dei conti pubblici italiani e della crisi latente del governo Berlusconi, l’avere salvato il salvabile è effettivamente un successo. Il presidente Chiodi, che si è molto speso, forse ha espresso il suo sospiro di sollievo con un po’ di enfasi. Ma è vero che l’Abruzzo, come ha osservato il prof. Mauro, ha motivo di essere soddisfatto per avere mantenuto i fondi, sperando ora di incassarli. Non ha torto chi guarda a quello che la nostra regione avrebbe potuto chiedere e ottenere.

Però, qui dobbiamo imparare a ragionare in una dimensione nuova: non possiamo più pensare oggi con la testa di appena ieri, altrimenti non ci rendiamo conto che lo scenario è diventato improvvisamente instabile, incerto, per di più muta velocemente.

Il governo non ci ha regalato nulla, ma evitare tagli, riduzioni, decurtazioni deve essere stata una fatica. Anche su questo punto non facciamoci illusioni: è importante che l'Abruzzo si sia presentato unito e, per una volta, abbia parlato come un ceto dirigente che converge sugli obiettivi, come ha giustamente osservato Chiodi. Non c'è da illudersi che la prova di unità sia stata determinante. Ha pesato l'aria di smobilitazione politica che si respira nel centrodestra nazionale, che sente il vento elettorale avvicinarsi.

Il centrodestra sa bene che le urne potrebbero sancire una sua dura sconfitta, fa quello che può per limitare i danni. La paura elettorale ha aiutato l'Abruzzo.

Il punto è che, adesso, la palla torna nel nostro campo. E qui cominciano i problemi. La nostra regione è in grado di cambiare filosofia, sapendo che questi fondi da soli non risolvono la crisi e, quindi, che vanno utilizzati con intelligenza strategica? Gli stanziamenti arrivano in nome dell'emergenza elettorale del centrodestra nazionale, ma l'Abruzzo, a sua volta, saprà mettere in campo una visione d'emergenza per non sprecarli? Il modo migliore per gestirli con efficienza non è comportarsi come se tutto fosse eguale a prima. Il presidente della Provincia di Chieti, Di Giuseppantonio, ha dichiarato: possiamo fare la Pedemontana. E' chiaro che la Pedemontana sarebbe una strada importante, ma il punto è che le risorse che avremo a disposizione possono essere utilizzate secondo una logica vecchia o secondo una nuova. La logica vecchia è seguire i consigli del presidente della Provincia di Cheti, rischiando di ridurre al minimo l'impatto sul benessere collettivo. La logica nuova, a mio avviso, punta a privilegiare la crescita nel medio periodo. Abbiamo bisogno di risultati per sostenere la domanda interna, lo sviluppo e, con esso, l'occupazione. Se l'Abruzzo si muove pensando solo che arrivano i Fas e poi partono i bandi, ancora una volta stiamo ragionando in termini di spesa pubblica.

Questo è il vecchio Abruzzo, entrato ormai in crisi, che difficilmente i Fas rilanceranno. La nuova filosofia potrebbe essere quella di concentrare le risorse sulla competitività del territorio, sulla sua attrattività. Il che significa mettere al centro non tanto la comunità quanto l'imprenditorialità. Lo spiega bene il prof. Sarra nel suo articolo di oggi. Se politica e società avranno il coraggio di puntare le nostre fiches in settori che possano generare benefici, allora occorre guardare alle imprese e al mercato. Ci troviamo di fronte a una classica questione: come dovranno essere distribuiti i benefici? Chi avrà di più e chi meno? E' questo il motivo per cui il vero Patto per il lavoro va stipulato adesso. Può prevalere il metodo che a volte traspare anche dalle parole degli assessori regionali: un po' a tutti, senza scontentare nessuno. Credo che, in questo caso, i soldi sarebbero bruciati con pochi risultati. Invece, se la collettività decide che a beneficiare maggiormente dovranno essere le imprese, a loro volta gli imprenditori dovranno prendere impegni precisi con la società sull'occupazione, sulla stabilizzazione del precariato, sulla valorizzazione dei salari.

La collettività si trova a scegliere se desidera spendere o investire. Se scommette sullo sviluppo, dovrebbe mettere le aziende nelle condizioni migliori per giocare la loro partita. Le imprese, però, devono sapere che non giocano più da sole, per se stesse, ma per l'intera collettività. I dividendi della crescita non potranno finire solo a loro, ma anche alla società. Questo è lo scambio che si materializza al tavolo del Patto per il lavoro. Imprenditori e sindacati ne saranno gli attori protagonisti. Nello stesso tempo, il presentarsi come un ceto dirigente comporta l'adozione di una strategia moderna che connetta l'Abruzzo al contesto europeo e alla globalizzazione di medio raggio, vale a dire a credere in un progetto per il futuro. Servono riforme strutturali. Non sarà facile, la crisi è pesante, le incognite molte. Solo se l'Abruzzo avrà la forza di condividere una meta comune, l'impresa potrà ricevere oggi e restituire alla comunità domani. La politica dovrebbe essere il garante di questo patto e, nello stesso tempo, dovrebbe creare le condizioni istituzionali e normative affinché l'accordo avvenga.

Molti sono invitati a cambiare filosofia. Dovrebbe cambiare la politica, maggioranza e opposizione, per uscire dalla sua autoreferenzialità. Occorre che cambi l'impresa, perché deve liberarsi del complesso dell'appalto pubblico per entrare senza esitazione nella logica del mercato e dell'innovazione. Deve cambiarla l'università, che non può mettere in primo piano i vincoli (veri) che sconta per assumersi la responsabilità di porsi al centro dell'alleanza per la modernizzazione del territorio. E per farlo deve anch'essa rischiare. Deve cambiarla la Regione, chiamata a accompagnare l'impiego dei Fas con il coraggio di progettare e di ristrutturare la composizione della spesa in modo da produrre effetti rapidi sulla domanda interna. In sintesi, riformare se stessa e i suoi costi per recuperare altre risorse per la crescita. Anche i progetti sulle infrastrutture forse potrebbero essere ripensati: quelli funzionali allo sviluppo potrebbero mantenere la precedenza, mentre la comunità dovrebbe accettare il fatto che le risorse siano destinate ai settori, dai servizi alla cultura al turismo, che generano commercializzazione e attrazione.

Le imprese vogliono assumersi la responsabilità di ripartire nonostante il quadro incerto? La politica vuole ripensare se stessa e dare speranza, per esempio togliendo dalle liste gli inquisiti? La società vuole scegliere di vivere e non solo di sopravvivere? L'Abruzzo vuole cominciare a immaginare se stesso come sistema? Vogliamo giocare come una squadra che valorizza i suoi giovani? In fondo, il vero successo del vertice di Roma consiste nell'averci posti di fronte allo specchio di ciò che siamo. Guardando il precipizio in cui possiamo cadere, potremmo scoprire il meglio di noi stessi.

Il nostro giornale crede nell'energia della fiducia. Sentiamo un Abruzzo sul quale pesano le difficoltà, ma che non si dà per vinto. Che vuole fare parte del mondo migliore.

Noi sentiamo la dignità di cittadini che hanno affrontato prove durissime, come il terremoto, e che non hanno smesso di battersi per i loro diritti. Questo rispetto per se stessi può farci cambiare più di quanto siamo disposti ad ammettere.

Ghandi diceva: "Diventa tu il cambiamento che vorresti vedere nel mondo". L'Abruzzo è migliore di certi spettacoli che abbiamo visto in questi giorni, come nella sanità pescarese. Diamogli un'opportunità.

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