l'intervento

"Ascoltare, provocare e accompagnare i giovani"

La relazione finale del presidente della Ceam, monsignor Bruno Forte: "Ai coniugi cristiani diciamo: famiglia è bella anche quando è difficile"

Chi sogna da solo è un sognatore; se sogni insieme ad altri, il sogno comincia a diventare realtà». E’ l’incipit della relazione iniziale di Bruno Forte, presidente della Ceam, al Convegno ecclesiale di Montesilvano. Al termine dei lavori, l’arcivescovo di Chieti e Vasto ha tirato le conclusioni. Riportiamo i passaggi più importanti della relazione finale.

di BRUNO FORTE

LA FAMIGLIA. . «A proposito della famiglia sono tre i verbi chiave da tener presenti e tradurre in realtà. Il primo è “evangelizzare”: in una società dove la cultura del provvisorio e la paura del definitivo sembrano scoraggiare specialmente i giovani dal mettere in atto un progetto di vita familiare, occorre proporre in tutte le forme e occasioni la buona novella che la famiglia rappresenta come tale. Le famiglie sono una risorsa per tutta la società come per la comunità ecclesiale. Specialmente ai coniugi cristiani diciamo: impegnatevi a dire con le parole e con la vita che fare famiglia è bello, anche quando può essere difficile, che ne vale la pena e che i benefici di una unione fedele e feconda fra gli sposi sono immensamente più grandi che quelli di una convivenza che apparentemente tuteli di più la libertà di ciascuno. Il secondo verbo è “accompagnare”: i giovani che si preparano al matrimonio, le giovani coppie di sposi e in generale le famiglie non vanno lasciati soli, ma accompagnati con fede, fiducia e fedeltà. Cura centrale delle nostre scelte pastorali deve essere quella di fare delle famiglie al tempo stesso l’oggetto prioritario e il soggetto imprescindibile del nostro impegno di Chiesa. A tutti i livelli occorre riconoscere spazio e protagonismo alla realtà delle famiglie, accogliendo anche quanti hanno fatto esperienza del fallimento dell'amore o vivono in situazioni di famiglie ferite. Il terzo verbo è “integrare”: nessuna famiglia o persona singola deve sentirsi esclusa dalla Comunità ecclesiale. Va fuggita ogni forma di “cerchio magico” intorno ai pastori, impegnando i più vicini a farsi promotori e attori della accoglienza di tutti e dei processi necessari affinché ciascuno sia integrato nella maniera più piena e feconda nella vita di tutta la comunità.

I GIOVANI. «Riguardo ai giovani i verbi che vanno messi in atto sono: “ascoltare”: i giovani si lasciano coinvolgente liete da chi li avvicina con rispetto e amore. Vogliono essere ascoltati, senza pregiudizi e senza paure. Vogliono dire la loro e sapere che chi li ascolta è pronto a mettersi in gioco con e per loro, senza ipocrisie e paternalismi. Una Chiesa che ascolta è una Chiesa vicina, amica, attraente e coraggiosa.

Provocare”: i giovani amano chi li sfida a orizzonti più alti, a mete più grandi. Ciò va fatto con umiltà e molto amore. Come dice il termine, si provoca se si chiama qualcuno in nome e a favore di un altro: se quest’altro è Cristo annunciato con la parola e l’eloquenza della vita, difficilmente i giovani resteranno indifferenti. Essi non chiedono proposte al ribasso o contrattazioni a buon mercato: ciò che domandano è autenticità, credibilità e impegno d'amore disinteressato in chi li provoca.

Coinvolgersi”: i giovani non vogliono maestri che insegnino dall’alto di una cattedra, ma testimoni che li affianchino o li precedano in maniera convincente, con involvendo se stessi in ciò che vivono con e per i giovani. Vale specialmente per i giovani ciò che diceva Paolo VI nella Evangelii nuntiandi al numero 41: «L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri. E se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni». Il testimone vive ciò che dice, si coinvolge, precede, accompagna, condivide: la condivisione, che non ignora ma valorizza nella reciprocità le differenze di carismi e di servizi, deve essere lo stile di chiunque si impegni nella pastorale giovanile».

I POVERI.«Riguardo ai poveri le scelte da fare sembrano le seguenti: “conoscere” le situazioni: la povertà non è una condizione statica o uguale dappertutto. Ci sono povertà fisiche e povertà spirituali, povertà materiali e povertà culturali. Ci sono poveri fa i giovani e gli adulti, fra i bambini e gli anziani. L’osservatorio delle povertà è per l’azione delle Caritas e di tutta la Chiesa il presupposto necessario per vivere una carità intelligente, rispettosa ed efficace. “Personalizzare”: personalizzare vuol dire mettere al centro la persona, nella piena consapevolezza che il povero non è un oggetto né tanto meno un sacco da riempire, ma una persona umana, immagine di Dio da rispettare, promuovere, amare. Spesso l’azione più efficace che si può fare per un povero è aiutarlo a riscoprire la propria dignità e le proprie possibilità represse o ignorate. “Condividere”: ogni intervento verso i poveri va inteso come una condivisione reciproca è uno scambio. Non c’è nessuno così povero che non abbia qualcosa da offrire all'altro, nell’atto stesso del ricevere. Ogni intervento sulla povertà e a favore dei poveri è in realtà uno scambio, di cui occorre essere ben consapevoli: sta in questa consapevolezza la vera differenza fra la beneficenza, che mantiene le distanze e crea o vuol creare dipendenze e clientelismi, è la carità in cui dando si riceve e chi riceve e chi da si arricchiscono reciprocamente».

LE CONCLUSIONI. «L’insieme di questi nove verbi, riferiti a gruppi di tre ai tre ambiti della nostra riflessione (evangelizzare, accompagnare, integrare; ascoltare, provocare, coinvolgersi; conoscere, personalizzare, condividere) disegna il sogno che vorremmo sognare insieme con e per il nostro popolo. Si tratta di segni di un unico sogno, passi di un’unica storia di fede e di amore, che non intende occupare spazi, ma con l’aiuto di Dio e nel soffio dello Spirito intende avviare processi di vita e di speranza nuove per tutti».