Balneatori: ombrelloni chiusi

La protesta contro le nuove concessioni fa slittare l'inizio della stagione

PESCARA. Gli ombrelloni questa estate potrebbero restare chiusi, con i balneatori di nuovo sul piede di guerra e pronti alla serrata stagionale, quindi, a non aprire il primo giugno. E' questo l'effetto provocato dal nuovo decreto legge che riduce il diritto di superficie sulle spiagge (ovvero sugli edifici e le strutture realizzate sugli arenili in regime di concessione) da 90 a 20 anni. A suggerire la modifica è stata l'Unione Europea che aveva avviato una procedura d'infrazione contro l'Italia.

In questo modo, torna a profilarsi la possibilità che le concessioni demaniali marittime vengano messa all'asta nel 2015. Equesta ipotesi non è accettata dai gestori di stabilimenti balneari.

«Il primo giugno non apriremo gli stabilimenti», avverte Riccardo Padovano, presidente regionale della Sib Confcommercio. «A questo punto è inutile aspettare il 2015 per essere messi all'asta, chiudiamo noi prima. Prendiamo atto che politicamente 30 mila aziende sono state vendute. Non possono prendere in giro persone che lavorano. E' un decreto scandaloso. Spero che con qualche emendamento venga modificato. Nel frattempo un nostro gruppo di studio lo esaminerà».

Sulla stessa lunghezza d'onda Antonio La Torre, presidente abruzzese della Fiba Confesercenti: «Siamo pronti alla serrata stagionale. Tanto, per noi, la messa all'asta dal 2015 significherebbe morte comunque. Il decreto è ambiguo: non si capisce se per il diritto di superficie ci sarà il bando di gara europeo o se resterà agli attuali concessionari con la sola modifica temporale dai 90 ai 20 anni. Se la soluzione sarà la messa all'asta, ci metteremo di traverso in tutti i modi con qualsiasi tipo di protesta. Spero si faccia chiarezza al più presto e faccio leva sul documento che tutte le forze politiche hanno sottoscritto la settimana scorsa al Senato che mira alla salvaguardia delle imprese esistenti».

«Non si può giocare sulla pelle di tanti piccoli imprenditori», avvisa Cristiano Tomei, presidente della Fab Cna, «che mettono in campo patrimonio, professionalità e sacrifici. C'è bisogno di una posizione chiara e inoppugnabile da parte del governo e non di demagogia. Qui ci sono in ballo investimenti e occupazione. Cosa contiamo in Europa? Non mi sembra ci sia più un ministro per le Politiche comunitarie, nessuno è andato a Bruxelles per discutere questi argomenti. Noi rappresentiamo il 10% del Pil nazionale e siamo una tipicità italiana. Sediamoci e riscriviamo le regole. Non vedo perché mandarci a casa svendendoci».

Riccardo Ciferni, presidente della Ciba, spera in un cambio di rotta: «Nulla è ancora deciso, il decreto può essere oggetto di variazione, che speriamo sia positiva. Comunque il problema è garantire l'azienda legittimamente autorizzata, non avere a vita un bene demaniale. Noi non difendiamo nessun privilegio. Una soluzione potrebbe essere, come fatto per le edicole, un sistema autorizzatorio che definisca le caratteristiche da rispettare. Bisogna garantire che l'impresa che fa turismo non abbia un tempo, ma quello stabilito dal codice civile, nessuna azienda può essere messa all'asta».

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