« Basta volare bassi, misuratevi con i migliori»

L’ informatico che ha venduto ad Amazon la “app” milionaria sprona i giovani: «Superate la sindrome dell’8 settembre, c’è troppa paura di mettersi in gioco»

TERAMO. In dieci anni ha fatto quello che un altro non farebbe nell’arco di una vita: si è laureato, è stato assistente in una delle più prestigiose università al mondo, ha lavorato per Yahoo e Microsoft, ha inventato un’app che ha venduto ad Amazon, colosso delle vendite on line. E ora, a 34 anni, Vincenzo Di Nicola è tornato nella sua Sant’Atto, paese di 300 anime alle porte di Teramo.

DA SANT’ATTO A S. FRANCISCO. La strada dell’ingegnere-inventore era già segnata. Cinquecento anni fa la sua sarebbe stata definita una stirpe di “conquistatori”. Adesso si chiamano emigranti. «La mia famiglia è di Villa Turri e Sant'Atto», racconta Di Nicola, «abbiamo una forte storia di emigrazione: mio nonno Vincenzo nel 1921 andò a estrarre il carbone nelle miniere in Pennsylvania. Seguì il fratello emigrato 15 anni prima. Mio nonno, che poi era tornato in Italia, parlava molto bene dell'America, diceva che è un Paese che chiede molto ma dà anche molto in cambio. La svolta c’è stata nel 2000, quando uno “zio d'America” tornò a Sant'Atto: voleva sdebitarsi con mio nonno, che però era morto e lui ha voluto sdebitarsi con me. A 19 anni mi ha fatto vederegli Stati Uniti e quello mi ha cambiato la visione del mondo. New York, all’epoca, era all'apice della frenesia e mi sono innamorato dell'America».

L’UNIVERSITA’. Tornato in Italia, Vincenzo Di Nicola sa già che sarebbe ripartito. Fa l’università a Bologna, ingegneria informatica. «Ma l’università italiana, all'epoca, non mi ha dato una formazione adeguata. Mi ha fatto studiare filosofia dell'ingegneria, niente pratica, non ho progettato niente». Quello che cerca, lo trova prima alla University of California e poi a Stanford, «l’università più importante al mondo per l'informatica, dove sono nate Google, Yahoo e gran parte della start up americane». Vincenzo sin da giovanissimo ha le idee chiare e spiega tutto con una metafora calcistica: «Se fossi un calciatore vorrei giocare nel Barcellona o Real Madrid: ho scelto le università migliori. “Giocare” con gente più brava di te ti aiuta e ti rendi conto che niente è impossibile. Ad esempio ero assistente di un professore che ha fondato VMware, colosso dei software di virtualizzazione: avere a che fare con persone disponibili, ultraintelligenti e ultrapropositive ti aiuta a cambiare».

L’INVENZIONE. Ma ben presto capisce che l’insegnamento non è la sua strada. «Volevo avere un impatto più immediato con la realtà e a 26 anni ho fatto un tirocinio a Yahoo e lì ho avuto a che fare con la vera industria software americana: in pochi mesi ho portato un bel contributo nel sistema di estrazione dati dell’azienda, dove stanno ancora usando il lavoro che ho fatto. Microsoft poi mi ha fatto un'offerta e ho accettato: era il mio sogno da bambino, così sono andato a Seattle. Lì ero program manager, ho fatto un bel lavoro: sono stato premiato dall'ex consigliere di Bill Gates». La Microsoft lo manda in Cina per sei mesi. «Al ritorno da quella bella esperienza mi sono detto: che posso fare di più? Avevo visto che il mondo degli smatphone stava prendendo piede - era il 2009, avevo 29 anni - ho cercato un mio vecchio amico che lavorava all'Ibm, abbiamo deciso di buttarci in una nuova avventura». I due - anche l’altro ha origini italiane - fondano una società, la GoPago che lancia l’omonima app per ordinare e pagare nei ristoranti tramite smatphone. Il meccanismo si è affinato con un Pos, che ha consentito all’esercente di comunicare meglio col cliente. In breve è diventato un “must” nei campus americani e a San Francisco. Tanto da attrarre l’attenzione di Jeff Bezos e di Amazon che a dicembre ha acquistato il software. La società è stata acquistata invece da una compagnia di Pasadena che ha rilevato il business. L’acme, e paradossalmente la conclusione (per ora) dell’esperienza negli Usa, c’è stata a gennaio, quando Di Nicola ha ottenuto la cittadinanza americana.

IL RISCHIO E LA PAURA. A 34 anni può dire di essersi messo in gioco più volte. «Certo, non puoi mai sapere come va a finire, ma pensi: sono giovane, se non rischio adesso, quando rischio? E’ questo che non capisco dei giovani italiani: perchè non si buttano, come mai non vadano all'estero. Dagli Usa ho fatto offerte vere di lavoro a giovani italiani con cui collaboravo “da remoto”. In Italia tutti si lamentano, io allora ho detto a tanti giovani: vieni a lavorare con me, eccoti il contratto, ti dò il visto, la casa, i soldi. Sono rimasto scioccato: 9 su 10 hanno detto di no. Non è successo con russi e ucraini: uno si è presentato la settimana dopo. Così ho smesso di cercare italiani, non riescono a cogliere le occasioni. Negli ultimi tre anni, a dire il vero, le cose sono un po' cambiate, qualche italiano si muove: non so se è la disperazione, ma almeno è qualcosa».

LE RADICI. Ora Di Nicola è tornato a casa. «Io qui sono cresciuto bene: ho avuto un’ottima infanzia, un’ottima istruzione alle superiori. Sono contento di quel che ho avuto da Teramo e cerco di dare qualcosa indietro, e con gli interessi». Sabato inizierà un corso di informatica moderna da dieci lezioni al liceo scientifico “Einstein”, quello che gli ha dato le basi per l’avventura americana. «E’ un corso su quella praticità nell'informatica che l'università non insegna e che poi è quello che chiede il mercato», e con un’inflessione che ricorda i 10 anni americani aggiunge: «creare nuove applicazioni come whatsapp può essere alla portata di un 18enne. Quando vedo ragazzi molto più scarsi di quelli di Teramo che credono di essere guru dell'informatica mi ribolle il sangue. In Italia la gente vola basso, io la chiamo la sindrome dell'8 settembre: c'è rassegnazione, non c'è voglia di combattere».

IL FUTURO. Il proprio futuro Di Nicola lo vede in Italia, possibilmente. «Tutto quello che volevo fare in America l'ho fatto, gli obiettivi che mi sono posto 10 anni fa li ho realizzati. Sto cercando la prossima sfida, quella che mi renda ancora più orgoglioso».

©RIPRODUZIONE RISERVATA