Bruno e Orlando, una vita d’amore e lotta

Dalla Germania a Pineto, combattono per il matrimonio tra omosessuali. Hanno anche cresciuto un ragazzo. Presto simuleranno le nozze in una manifestazione a Roma

PINETO. Bruno e Orlando, con il passare dei 45 anni trascorsi insieme, sono diventati delle star nel mondo gay. E sanno di esserlo. Eppure, andarli a trovare significa - una volta superato l’impatto con l’esterno molto «freak» della loro casa lungo l’Adriatica, dipinta di rosa e circondata da sculture di foglie e statuine - trovarsi di fronte due persone lontanissime dallo stereotipo della star. Bruno Di Febbo, anni 69, e Orlando Dello Russo, 62, sembrano in tutto e per tutto una tranquilla coppia di mezza età di una qualunque cittadina di provincia. Umili, alla mano, pacati nei toni, autoironici, vestiti nel modo più anonimo possibile anche se sapevano della visita del Centro, capaci di rimproverarsi bonariamente l’un l’altro davanti agli ospiti.

L’ICONA
. Sembrano una coppia qualsiasi, dunque. Ma, loro malgrado, sono un simbolo. L’icona della battaglia degli omosessuali per raggiungere la «normalità». L’ultimo riconoscimento gli è arrivato dall’Arcigay, che li ha eletti coppia gay più longeva d’Italia e li ha designati a testimonial della campagna a favore del matrimonio tra omosessuali. Presto, in questa veste, li vedremo su giornali e tg nazionali. «Domenica», dice Orlando, «saremo a Bologna per definire i dettagli di una cerimonia di matrimonio da tenere pubblicamente a Roma». «Ci faranno sposare», aggiunge Bruno, «con la formula usata l’estate scorsa qui a Pineto da due persone più giovani di noi. Lì eravamo tra gli organizzatori dell’evento gay e abbiamo preferito non essere protagonisti della cerimonia. Ma ora tocca a noi. E per vederci partirà un pullman da Pineto, anche con gente non omosessuale».

LA GERMANIA. A Pineto Bruno e Orlando oggi sono gli animatori di una compagnia di teatro dialettale (che si chiama “I Scacciapensieri”) e vengono guardati dai più con simpatia e benevolenza, «anche se qualche cretino che passa qui davanti ci grida ancora “A froci!”», sorride Orlando, «e noi in risposta lo applaudiamo». Ma nel 1975, quando tornarono dalla Germania dopo dieci anni insieme? «Avemmo grosse difficoltà a trovare casa», racconta Orlando, «tanto che finimmo un affitto in un posto dove si facevano le casse da morto. Poi, pian piano, lavorando, ci siamo comprati casa». Il passaggio Germania-Pineto è descritto come traumatico. Ma il primo trauma per Orlando risale ai primi anni ’60 nel piccolo centro dell’Avellinese dov’è nato. «Io ho scoperto subito com’ero», dice, «e ho dovuto andarmene. Allora in Italia c’era tanta discriminazione, in famiglia non ti accettavano. Mio fratello voleva portarmi a prostitute contro la mia volontà. Sono andato in Germania per scappare, oltre che per lavorare». E qui nel ’65, in una gelateria italiana di Stoccarda, scocca la scintilla con Bruno: emigrante da Pineto per lavoro, di sette anni più grande e non ancora del tutto conscio di essere omosessuale. «Avevo una fidanzata», dice Bruno, «l’ho lasciata per lui». Su quella prima sera le versioni contrastano («Lui mi ha fatto piedino»; «No, era lui») e si ride di gusto. «In Germania», dice Orlando, «stavamo bene. Lì già 35 anni fa c’era una legge che ci tutelava». Bruno, sincero: «Se ci fossimo conosciuti in Italia? Tra noi forse non sarebbe durata». Nel ’75 Bruno deve tornare a Pineto: il padre è morto, la madre invalida, c’è un fratello sordomuto a cui badare. Orlando non lo segue, vuol restare in Germania. «Ma», dice, «per un mese e mezzo lui (e indica Bruno, ndr) mi ha telefonato tutti i giorni chiedendomi di raggiungerlo. E io l’ho raggiunto».

IL BAMBINO
. La coppia tira avanti fino alla pensione gestendo un negozio di fiori ad Atri. Anni di lavoro duro, ma non solo come commercianti. Per vent’anni, infatti, Bruno e Orlando allevano il nipote di Orlando. «Mia sorella», racconta lui, «è stata lasciata dal marito con otto figli. Uno l’ho preso io, aveva cinque anni. Io e Bruno l’abbiamo cresciuto fino ai 25. Non poteva essere una vera e propria adozione e i servizi sociali ci hanno tenuto d’occhio a lungo. Ma non hanno potuto togliercelo, il bambino andava a scuola ed era pulito. E poi tante persone che ci conoscevano sono intervenute per dire alle autorità di lasciarcelo». Oggi quel bambino è un uomo di 37 anni, è sposato e ha due figli. «Con lui all’inizio abbiamo dovuto stare attenti», racconta Orlando, «poi, quando a 18 anni è andato a fare il militare, gli abbiamo parlato chiaro. Noi, del resto, non ci siamo mai nascosti a nessuno».

PROGRESSI E NON. Ma in quasi mezzo secolo da gay dichiarati Bruno e Orlando hanno visto dei reali progressi nel modo di considerare e trattare gli omosessuali? «Sì», dicono, «ma siamo ancora in alto mare. A casa nostra vengono in tanti a chiederci aiuto, soprattutto giovani cacciati di casa quando si rivelano omosessuali. Casi drammatici». «Noi due stiamo bene», confida Bruno, «perché siamo sempre a casa e non andiamo in giro. Ma dovunque può succedere di essere discriminati. Ecco perché ci vogliono i diritti. Noi combattiamo per i gay più giovani. Vogliamo il matrimonio gay perché altri non subiscano quello che abbiamo subito noi a livello di previdenza e assistenza sanitaria». Ecco dunque venir fuori le icone gay, i combattenti per la parità giuridica. Ma con una disillusione di fondo. «Non crediamo», ammettono, «che questo Governo, e neanche il Pd, faranno qualcosa. In Italia c’è la Chiesa...». Orlando: «Se in Germania sono così aperti verso i gay, questo Papa da dove viene fuori?». La speranza, però, non muore. «Stiamo muovendo molto le acque, anche in Europa».

TEATRO E INSULTI. La vita di Bruno e Orlando diventerà un libro («C’è qualcuno pronto a scriverlo», confidano). A loro sarà dedicata la sezione Arcigay di Pescara. E Orlando sta scrivendo una commedia dialettale che vedrà lui e il compagno protagonisti. Ma dietro applausi e riconoscimenti ci sono ferite che non si rimarginano. Orlando racconta un episodio di otto anni fa: «Un autista di scuolabus, quando passava qui davanti, diceva ai bambini di abbassare i finestrini e gridarci “froci”. Un giorno l’ho fermato e rimproverato, e gli ho dato un colpetto sul mento. Un poliziotto che passava mi ha visto e denunciato, in tribunale ho preso una multa». Chiude Bruno, con filosofica rassegnazione: «In genere è meglio lasciar perdere. Più ti accendi, più te ne dicono e te ne fanno».

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