Burocrazia, grande riforma dell'Abruzzo

di Sergio Baraldi

Che cosa dovrebbe fare l’Abruzzo di fronte alla crisi? La presentazione del bel libro “La convergenza mancata” del professore Giuseppe Mauro, nostro stimato commentatore, una storia e un’esame del sistema economico regionale, è stata l’occasione per un confronto al massimo livello politico sulla ricetta da adottare. C’erano il presidente Chiodi, l’on. Legnini del Pd, il consigliere Rai De Laurentiis dell’Udc, che hanno offerto a un’aula magna stracolma di giovani studenti di economia, le loro analisi e proposte. Il prof. Mauro ha svolto un’analisi concisa ma brillante sulle contraddizioni dell’Abruzzo di oggi. Quella mattina abbiamo ascoltato molte cose interessanti, ma quando sono uscito da quell’aula mi sono chiesto come avrei potuto sintetizzare la discussione. Ebbene, la risposta che mi sono dato è che l’Abruzzo è chiamato a compiere un salto di qualità che coinvolge politica, sistema economico, società. L’Abruzzo non può pensarsi com’era o come è stato, perché quell’Abruzzo avrebbe poche possibilità di riprendere il sentiero virtuoso della crescita in una competizione internazionale sempre più complessa e difficile, in un mondo che, come ha ricordato il presidente Chiodi, cambia velocemente. La verità è che lo scatto di cui abbiamo bisogno riguarda proprio questo congedo da una prospettiva che non ci aiuta più a comprendere il presente, meno che mai a preparare il futuro.

Finora abbiamo giocato in difesa. E se adottassimo il modello di Zeman, giocando all'attacco?

Sostengono Chiodi e gli altri: il salto di qualità dovrebbe concentrarsi su una serie di capitoli. Eccoli: la produttività insoddisfacente, sulla quale il prof. Sarra oggi scrive un interessante articolo, e l'innovazione come motore per accrescerla; il sistema delle piccole e piccolissime imprese che devono crescere di dimensione o imparare a fare rete; l'internazionalizzazione vale a dire la capacità non solo di fare commercio internazionale (vendere altrove le proprie merci) ma saper presidiare i mercati esteri; la logistica. Sono alcune delle linee guida emerse dagli interventi dei protagonisti. Il presidente Chiodi ha detto con chiarezza, che piccolo non è più bello, come fino a qualche anno fa, ma è diventato brutto, perché si è rovesciato in un vincolo per le stesse aziende e per la collettività. Maggioranza e opposizione non possono certo obbligare le imprese a intraprendere un nuovo cammino ma, ciascuno nel suo ruolo, possono creare le condizioni per incentivare le imprese a compiere lo scatto verso la modernizzazione. Dunque, la modernizzazione è contrassegnata da un salto di qualità e di scala intimamente connesso con la grande trasformazione. E' la nuova frontiera dell'Abruzzo. Senza un salto di qualità, che innanzi tutto è un salto culturale e psicologico, la regione non crescerà come potrebbe. Le notizie di questi giorni, con la cassa integrazione alla Micron, un'impresa ad alta tecnologia, e il disimpegno che sembra profilarsi per la Honda, non sono confortanti. Anche se i dati sembrano descrivere una situazione economica in chiaroscuro per l'Abruzzo. Ma chi deve costruire l'ambiente adatto per governare il difficile passaggio verso un sistema d'eccellenza? Al cuore del dibattito, inevitabilmente, sono finite le istituzioni. E' compito della politica disegnare il contesto nel quale il mercato può fare il proprio lavoro al meglio senza dire agli imprenditori che cosa debbono fare, ma accompagnandoli in un complesso processo di adattamento. Per questo il nostro giornale ha acceso i riflettori sulla riforma della tecnostruttura amministrativa della regione. Senza un'amministrazione efficiente ed efficace non si va da nessuna parte, perché le lentezze burocratiche, la mancanza di risposte rappresentano un costo ormai insopportabile per un Abruzzo che, volente o nolente, compete con il mondo. C'è di più: mentre si deve migliorare la qualità della pubblica amministrazione, in cui cittadini e imprese siano considerati soggetti di diritti e "clienti" da soddisfare, occorre ridurre drasticamente i costi per recuperare risorse da destinare ad altri progetti. E' difficile non ammettere che oggi la macchina burocratica abruzzese costi parecchio: sembra 180-190 milioni nel suo complesso, e non renda quello che la società si aspetta. Il presidente Chiodi e l'assessore Carpineta hanno già ridotto l'organico di cento dipendenti. Probabilmente non basta. L'Abruzzo non può permettersi di spendere questa cifra per una struttura che non riesce a spendere neppure i fondi europei Fesr. Lasciamo stare le responsabilità politiche, che ci sono e non vanno nascoste. Oggi quello che preme è sottolineare che se si vogliono centrare gli obiettivi emersi nella discussione all'aula magna, e che lo stesso Chiodi ha indicato, obiettivi condivisibili, non si può più avere una Regione così com'è. Chiodi ha fatto bene a raccogliere l'invito degli imprenditori, in particolare di Primavera e Marramiero, a mettere mano alla riforma. Questa è la Grande Riforma da cui far partire le altre che dovranno seguire.

Ieri, sul nostro giornale, l'assessore Federica Carpineta ha svelato il progetto al quale sta lavorando: una riforma che prevede più flessibilità, meno dirigenti, nuovi criteri di valutazione, riduzione di costi. C'è da augurarsi che maggioranza e opposizione collaborino per condurre in porto rapidamente un progetto condiviso. Questo è l'interesse dei cittadini e delle imprese, che hanno diritto ad avere istituzioni efficienti, che non drenino risorse da impiegare altrove. Chiodi, ha ragione a non fermarsi. Il nostro giornale si augura che l'opposizione e i sindacati partecipino alla svolta. Vorremmo favorire una moderna cultura della rappresentanza degli interessi territoriali che coinvolga gli attori politici e sociali nella definizione delle soluzioni. A essere in allarme sembrano, però, i dirigenti regionali. Attraverso i loro organismi, ha fatto sentire la propria voce. Il presidente del Cida, Florio Corneli, ha messo il dito sulla piaga della lottizzazione politica: è la politica, ha sostenuto, che spesso non rispetta il confine tra indirizzo di governo e gestione degli atti, che manomette le regole del gioco, favorendo le carriere più secondo l'appartenenza politica che secondo il merito. E il Direr con Silvana de Paolis ha insistito sulla necessità che questa collaborazione- separazione tra politica e dirigenza venga rispettata e ha chiesto che il nucleo di valutazione dei dirigenti sia indipendente. Credo che i dirigenti non abbiano torto quando evocano il fantasma dell'ingerenza politica: i partiti spesso considerano le istituzioni quasi un campo di manovra privato. Ma una domanda sorge spontanea: come mai il richiamo per questo pericolo nasce quando la politica, pressata da una società stanca di procedure lente e che producono scarsi risultati, decide che è venuto il momento di cambiare? Perché i dirigenti non hanno reso pubbliche intromissioni, violazioni, pressioni che certamente ci sono state in passato con qualsiasi maggioranza? E' vero che l'istinto della politica peggiore è quello di occupare posizioni e favorire i propri interessi, ma non risulta che ci sia stata una difesa pubblica della propria autonomia e professionalità. Al contrario, l'impressione è di una lunga acquiescenza, in cambio di una serie di privilegi. Questa è la conferma di come siano cambiati i tempi: di fronte all'incalzare della globalizzazione e della battaglia per il reddito tra i territori, la politica è obbligata a rimettere in discussione persino i suoi vizi. Accusando ora la politica d'interferenza, sorge il sospetto che sia scattata una difesa corporativa contro il cambiamento, una difficoltà culturale a rimettersi in gioco in un contesto nuovo in cui l'affinità politica potrebbe non bastare.

Tra dipendenti della giunta, dirigenti, dipendenti delle varie società che Chiodi ha chiuso e che sono passati alla Regione, abbiamo un esercito di circa 1800 persone. La società abruzzese, le imprese non possono perdere occasioni a causa di un'amministrazione che non è all'altezza delle sfide. Al dibattito il presidente Chiodi ha parlato della possibilità di utilizzare risorse della Banca mondiale. Ma non dimentichiamo i fondi europei che, a quanto pare, non siamo sempre in grado di spendere. Le vicine Marche sono più brave a intercettare questi stanziamenti. In Europa è in corso una silenziosa gara per assicurarsi quei fondi: la Polonia, per esempio, si sta segnalando come uno dei paesi più rapidi nel farsi finanziare una miriade di progetti. Se un limite si riscontra nelle parole dell'assessore Carpineta, sta in questa lacuna: nel fatto che la riforma della Regione non viene agganciata esplicitamente a un'europeizzazione della nostra politica istituzionale. Se è vero che la Regione dovrebbe assicurare, attraverso coordinamento e progettualità, la "governance" a sostegno dello sviluppo locale, la Regione debole di oggi fatica a rispondere alle esigenze della collettività. Le trasformazioni che ci investono costituiscono una sfida alle dotazioni culturali e istituzionali e incidono non poco sul rendimento del pubblico. L'Abruzzo deve chiudere l'epoca della lottizzazione politica: in questo hanno ragione i dirigenti a chiedere meccanismi di selezione e valutazione indipendenti. Ma finisce anche il tempo della vecchia burocrazia abituata a pensare per procedure e per affinità politiche invece che per obiettivi e risultati. La politica abbia il coraggio di affrontare anche possibili resistenze. Faccia prevalere la cultura degli interessi territoriali. L'Abruzzo ha bisogno di una regione forte, professionalizzata, che costi meno. Questo è il banco di prova. Per i partiti è il momento di mostrare chi è capace di diventare "imprenditore di politiche pubbliche" nell'interesse dei cittadini; per la struttura amministrativa è l'ora di assumere le competenze tecniche e relazionali per lavorare in rete soprattutto con l'amministrazione europea. Impariamo da Zeman: giochiamo all'attacco.

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