Caramanico, frana sotto le murasott’accusa il fiume Orte

Il fiume lambisce la località nella sua lunghezza e ciclicamente ne porta via i pezzi. Nel 1989 con 5 milioni di metri cubi di terra venuti giù sul versante di Casa delle Monache sulla statale 487. Nel 2001 a San Paolo. Ora torna il rischio

CARAMANICO. Il nome è incerto, ma la potenza è certa. L’Orte, o Orta come viene chiamato a seconda delle località che attraversa, è un fiume che sembra trarre la sua forza impetuosa direttamente dai massicci della Maiella e del Morrone, tra i quali nasce, a 1300 metri di altezza. Per Caramanico è una benedizione e una dannazione: lambisce la località termale in tutta la sua lunghezza, abbeverandola, e da sempre ne divora pezzi. Chi ha visto la frana del 1989 - con 5 milioni di metri cubi di terra venuti giù sul versante di Casa delle Monache ingoiando la statale 487 - e poi quella del 2001 a San Paolo - che portò a valle una massa di detriti tale da creare una diga sul fiume e dunque un gigantesco lago nel corso d’acqua - oggi cerca di minimizzare, forse più di esorcizzare, i danni e i possibili rischi di questa nuova frana generata dal fiume.

Ma il guaio è grande e serio. I centomila e rotti metri cubi di terreno sono franati proprio sotto le mura di Fonte Grande, cioé una passeggiata-belvedere del centro storico, che guarda la vallata dell’Orte. E dal letto del fiume dunque, parte lo smottamento, coinvolgendo il pendio per quasi un chilometro mentre il fronte eroso arriva una ventina di metri appena sotto la chiesa madre di Santa Maria Maggiore, che si affaccia a picco, splendida, sulle gole tra cui scorre il fiume in quel tratto.

Da venerdì, quando il movimento franoso si è innescato, e poi sabato, quando si è “espresso” appieno, è un viavai continuo sull’affaccio di Fonte Grande.

I caramanichesi, fiduciosi o preoccupatissimi che siano, ci passano e buttano un occhio giù più volte al giorno, «appena usciti di casa o tornandoci», assicurano, a controllare se la terra cede ancora o finalmente si è fermata. «Il municipio si è trasferito qui», sintetizza il sindaco Mario Mazzocca, «noi ci siamo sempre», spiega guardando l’assessore ai Lavori pubblici Claudio Cavallucci, quello al Commercio Costanzo Sigismondi e il consigliere Giovanni Conte a due passi da lui. Quella di ieri è stata una nuova mattinata di sopralluoghi e telefonate convulse per gli amministratori e i tecnici. Dalla Provincia è arrivato Paolo D’Incecco, dirigente del settore Lavori pubblici, poiché l’Ente governato da Guerino Testa è titolare della statale 487 che, in galleria, passa proprio sopra alla frana. Si sporge, guarda, misura con lo sguardo. No, a una prima ispezione sembra che la strada non sia minacciata dall’erosione «perché realizzata su pozzi che ne garantiscono la stabilità».

Ma se la frana è provocata dall’Orte, la Provincia sarebbe parte lesa, come il Comune, in caso di danni. Non è ancora ufficiale dunque che a causare «lo scivolamento a cucchiaio», come è stato definito dal geologo Silvio Castellucci, sia il fiume. Serviranno immagini aeree, si dicono tra loro ingegneri e amministratori, e confrontando le nuove, da fare già nei prossimi giorni, con le vecchie, si potrà capire meglio. Ma che il colpevole sia lui, l’Orte, nessuno pare avere dubbi reali. Dal 1956 alla metà degli anni ’80 a «tenerlo buono» erano le griglie idrauliche, ma il fiume si è ribellato, ha cambiato corso, portato pietroni che ne deviano il cammino, e inoltre le griglie sono state abbandonate, e senza manutenzione (le competenze al riguardo sembrano essersi dissolte) sono praticamente sparite. «Qui non è questione di enti locali», osserva il sindaco, «dalla Regione alla presidenza del consiglio dei ministri, al ministero dell’Ambiente e della Tutela del territorio alla Protezione civile abbiamo allertato tutti. Va valutato il pericolo immanente, studiando interventi tampone immediati. Ma poi bisogna assolutamente provvedere alla stabilizzazione dell’asta fluviale. Noi, come Comune, sono 5 anni che con un gruppo di lavoro di ingegneri, geologi ed esperti in generale, che hanno lavorato gratuitamente, abbiamo individuato proposte di ingegneria ambientale e messo a punto schede progettuali: servono sei milioni e 100mila euro per avviarle. E’ ora di riunire attorno a un tavolo le istituzioni competenti e capire come procedere. Non c’è più tempo da perdere», conclude gettando ancora uno sguardo giù dal muraglione.

«No, proprio non ce n’è di tempo da perdere», gli fanno eco i titolari della pizzeria Fonte Grande, che rischia di ritrovarsi a penzolare nel vuoto, scavata dalla frana alle fondamenta. «Abbiamo sempre investito nel locale, che ci dà da vivere», racconta Pino Brandolino, «da 35 anni. Io ci sono nato qui. Volevamo attrezzare un piccolo parco giochi proprio dove il terreno è franato. E non vorremmo ritrovarci questa estate, con i i turisti e le ruspe sul belvedere».
«Chissà che il terremoto, che qui si è sentito tanto, non abbia incrinato qualcosa lì sotto alla galleria», azzarda la mamma, scuotendo la testa. «Ma no, è l’acqua», interviene il marito Mario, «Fonte Grande era una sorgente, ora, da quando hanno fatto la galleria, dalla fontana viene acqua di condotta. E l’altra dove va a finire? Qui c’erano tante sorgenti da annaffiare tutta Pescara, dove sono finite? Alla Sausa (il termine dialettale che indica località Casa delle Monache, dove ci fu la frana dell’89 ndr) entra l’acqua nelle stalle: è zona argillosa, con terra di riporto dunque le infiltrazioni sono pericolosissime. Ma non ci si capisce più niente». Non tutto è chiaro come l’acqua dell’Orte.