Case B e C pronte in un anno, i molti dubbi degli aquilani

In molti hanno telefonato al Centro per chiedere chierimenti sulle risposte date dal commissario Gianni Chiodi alle cinque domande poste dal giornalista Giustino Parisse

L’AQUILA. «Un anno...da quando?». I tempi dettati dal commissario della ricostruzione Gianni Chiodi e la riparazione fai-da-te per gli interni delle seconde case, a carico dei privati, aumentano i dubbi e le preoccupazioni dei cittadini alle prese con la sistemazione degli edifici B e C. Nonostante le rassicurazioni, le incertezze sono ancora tante. Molti hanno telefonato al Centro per raccontarle.

AQUILANI A ROMA.
«Buongiorno, sono un’aquilana che vive a Roma. Ho una seconda casa in centro storico che è stata classificata E. A parte il problema degli ambiti e dei consorzi, obbligatori per legge al fine della ricostruzione omogenea e del rafforzamento di tutto l’edificio danneggiato, sono molto amareggiata per il discorso sul fai-da-te per le seconde case. Sapere che le parti interne saranno tutte a carico dei proprietari ci avvilisce molto. Chissà se avremo la forza e la voglia di riparare le nostre case». Il riferimento è alla risposta fornita da Chiodi a una delle cinque domande poste dal giornalista del Centro Giustino Parisse sul tema della ricostruzione: il capitolo seconde case. Una questione di fondamentale importanza nella ricostruzione dei centri storici, specialmente nei paesi del cratere sismico dove la stragrande maggioranza (circa il 70 per cento) degli immobili è inquadrato come seconda abitazione. Si tratta di paesi dove il fenomeno dell’emigrazione è stato massiccio. Per le seconde case, Chiodi ha ribadito che sono a carico dello Stato soltanto gli interventi strutturali e le parti comuni, mentre per gli interni, le tramezzature, i pavimenti e gli impianti la spesa è a carico del privato. Questo, poi, innesca un altro problema per i condomìni, dove si rischia di fare interventi «a macchia di leopardo». Se non c’è l’accordo da parte di tutti i proprietari, infatti, le E che non sono abitazioni principali rischiano di bloccare tutto l’intervento complessivo.

I TEMPI.
«Chiodi ha indicato un anno per le case B e C. Ma non bisogna terminare i lavori in sei mesi per le B e in sette mesi per le C?», chiede un lettore che ha la casa danneggiata nella zona di Bagno. «Se trascorre un anno si rischia di perdere il diritto al contributo. Pertanto bisogna partire con i lavori entro sette giorni dal contributo definitivo e poi bisogna terminarli in 6 o 7 mesi a seconda della classificazione dell’abitazione danneggiata. Il termine di un anno da quando decorre?». La segnalazione conferma che su questi argomenti l’interesse è ancora elevatissimo e per gli sfollati che sono alle prese con ordinanze e circolari il rischio disorientamento è più che concreto.

DOCUMENTI, IL GIALLO.
Questa, invece, la storia che racconta uno dei 400 destinatari di una «strana» lettera del Comune. «Un bel giorno», dice lo sfollato, «arriva una lettera, a me come agli altri aquilani ricompresi nell’elenco datato 15 febbraio. Una stranissima richiesta di integrazione in cui mi si chiedeva di rifare la domanda di contributo e di ripresentare la copia del documento d’identità. Tutte cose che il tecnico da me incaricato aveva già allegato. Altrimenti, come avrebbe potuto rintracciarmi il Comune, se non avessi presentato già una regolare domanda?», si chiede il cittadino. «La richiesta è arrivata al 60º giorno dalla data di presentazione della domanda, quindi, teoricamente, a procedura completata in base al silenzio-assenso». «La procedura», argomenta un tecnico, «vuole che nei primi 30 giorni vi siano verifiche di correttezza e completezza documentale della pratica e nei secondi 30 una verifica di correttezza tecnica e congruità economica degli interventi. Se manca qualcosa nella pratica il cittadino dovrebbe saperlo entro 30 giorni, se qualcosa non quadra dal punto di vista tecnico dovrebbe saperlo entro i 60. Chiedere di nuovo il documento d’identità e la domanda di contributo fuori termini è quantomeno strano». A quel punto, dopo numerose rimostranze, le anomale richieste di integrazione delle pratiche sono state ritirate con un messaggio sul sito Internet del Comune. Così, circa 400 pratiche sono rimaste bloccate per una settimana. E ora i professionisti si aspettano osservazioni «fuori termini» anche sul piano tecnico, con conseguente ulteriore rallentamento delle pratiche.

I FONDI CIPE. Per gli edifici pubblici, intanto, il Cipe ha stanziato 200 milioni di euro per la ricostruzione di 27 edifici tra i quali: struttura ex archivio di Stato (da adibire a locali della Corte d’Appello); questura; direzione regionale vigili del fuoco; direzione provinciale vigili del fuoco; uffici del Provveditorato alle Opere pubbliche; comando regionale Guardia di Finanza; caserma Campomizzi; palazzo di giustizia; Inps; caserma Rossi dell’esercito italiano; comando provinciale Corpo Forestale dello Stato; caserma De Amicis dell’esercito italiano. Gli appalti dovrebbero partire a breve. Per quanto riguarda l’edilizia universitaria e scolastica, il governo ha già messo a disposizione 40 milioni di euro per ricostruire le sedi universitarie di Palazzo Carli, Palazzo Camponeschi, Palazzo Ciavola Cortelli, sede centro di calcolo, sede via Assergi (centro linguistico e aule), via Verdi (Facoltà Scienze della formazione), Ex Onpi (facoltà di Scienze motorie), Piazza San Pietro (uffici tasse e contributi), aula Giovanni Paolo II (didattica), aula ex Isef (didattica), Palazzo Selli (rettorato).

I CONSORZI.
I consorzi vogliono contare di più. Intanto, cercano di contarsi. Oggi alle 14, nella sede dell’Accademia di belle arti, è in programma una riunione dei rappresentanti degli aggregati e dei consorzi di proprietari del centro storico al fine di avviare un primo censimento e un confronto sui temi della ricostruzione. «Sono invitati a partecipare», si legge in una nota, «i rappresentanti degli aggregati e dei consorzi già costituiti, di quelli di fatto e di quelli ancora in via di costituzione».