Cricca di famiglia, emergenza morale

Sta per tramontare un'era. Non è mai davvero sorta. E' accaduto tutto così in fretta, troppo. Neppure due anni. Una nuova traumatica crisi del sistema della politica in Abruzzo: le dimissioni da assessore regionale di Daniela Stati - con il papà in carcere e il compagno della vita agli arresti domiciliari - vanno oltre la vicenda personale dei protagonisti di quella che è stata ribattezzata la cricca abruzzese. Alla dura prova dei fatti il centrodestra - che in questa regione occupa quasi tutti i posti di comando disponibili - si sta rivelando quel che si temeva: possente macchina elettorale capace di vincere, incapace di amministrare.

Su questa, come sulle tante altre inchieste della magistratura in corso, una premessa doverosa: né sentenze preconfezionate né assoluzioni partigiane. Il Centro racconta i fatti di cui viene a conoscenza e divulga i documenti necessari alla loro comprensione. Nessuno è colpevole fino al giudizio della Cassazione, ma nessuno può pretendere privilegi o un'informazione imbavagliata.

Di questa indagine racconteremo dunque passo dopo passo gli sviluppi e vedremo come andrà a finire. Gli effetti politici però già si fanno sentire. Dirompenti. Un potere parallelo si sarebbe insediato nel Palazzo della Regione, in un assessorato strategico dopo il terremoto. Il padre comanda, la figlia esegue. La voce di popolo - ammessa con un sorriso malizioso persino dai maggiorenti del Pdl - si è rivelata veritiera persino oltre la maldicenza interessata. Decisioni importanti maturate nel tinello di casa. Leve di potere affidate a chi non ne ha titolo e quindi non ne risponde pubblicamente. Naturale che ora Daniela Stati difenda con orgoglio l'immagine di suo padre; da una figlia premurosa e amorevole non ci si aspetta comportamento diverso. Ma da una consigliera regionale, poi diventata assessore, la più votata in Abruzzo, si pretende altro stile, più rigore, maggiore consapevolezza del ruolo. Persino le dimissioni, subito accettate, appaiono inadeguate: se non fossero arrivate spontaneamente sarebbe stato il giudice ad imporle con l'interdizione dai pubblici uffici.

Che delusione. Si era manifestata con le sembianze di una classe dirigente anagraficamente giovane, culturalmente post-ideologica, pragmatica, moderatamente riformatrice, per nulla ossessionata dagli eccessi verbali e modaioli del berlusconismo imperante. Dall’Emiciclo aquilano alle Province, da Montesilvano a Pescara il centrodestra ha vinto al tavolo della politica tutto quello che c’era da rastrellare dopo gli sconquassi giudiziari che, con Ottaviano Del Turco e Luciano D’Alfonso, hanno relegato in isolamento l’intero centrosinistra. Chiodi, Venturoni, Albore Mascia, Cordoma, Sospiri, Piccone avevano, tra i principali compiti, la missione di ricostruire un’etica pubblica, regole certe, una tensione morale tanto percepibile quanto lo era stato lo sconcerto provocato dallo choc giudiziario che ne ha favorito l’ascesa al potere. Tralascio ogni giudizio sulla prassi amministrativa quotidiana; ogni cittadino ha occhi per vedere e giudicare. Constato invece l’incapacità di ridare dignità e autorevolezza alle istituzioni, fiducia agli abruzzesi, speranza nel futuro ai giovani.

Non era facile. Ma in meno di due anni il Pdl si sta giocando con una rapidità sorprendente ogni vantaggio acquisito per demerito altrui. La vicenda della cricca di famiglia è l’episodio più evidente di un’emergenza morale mai affrontata fino in fondo, con decisione e coraggio.
Per una di quelle coincidenze simboliche le dimissioni dell’assessore Stati sono arrivate nella stessa settimana in cui alla Camera il governo, con il voto sul sottosegretario Caliendo, ha visto sfumare la sua granitica maggioranza. Un caso, ovviamente. Ma è un segno: la democrazia sregolata non si tiene più. Né all’Aquila come a Pescara, né a Roma come a Milano.

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