D'Annunzio: sanità, l'alibi dei poteri forti

L'ex assessore regionale: con la tesi del complotto la politica tende ad auto-assolversi

PESCARA. «In campo sanitario i "poteri forti" sono rappresentati prevalentemente da persone o gruppi di persone che tendono a mantenere o accrescere i propri guadagni, o i propri privilegi, a scopo sociale o per fini di consenso elettorale».
Erminio D'Annunzio è quasi didascalico nella risposta alla domanda che tiene banco nella polemica politica e sanitaria abruzzese da più di una settimana, da quando cioè il presidente della Regione, Gianni Chiodi, ha accusato i poteri forti di intralciare una gestione virtuosa della sanità, rispondendo alle domande della commissione del Senato presieduta da Ignazio Marino.

Pescarese, 75 anni, medico, per anni primario del reparto di cardiologia dell'ospedale della sua città, D'Annunzio è stato, fra il 2002 e il 2003, anche assessore regionale alla Sanità, come esterno nella giunta di centrodestra presieduta da Giovanni Pace. Un'esperienza finita male («Mi hanno cacciato», taglia corto lui), della quale ha stilato un amaro bilancio in un libro intitolato «Sanità malata» (il sottotitolo è «Il declino della sanità italiana tra lottizzazioni e lobby farmaceutiche») pubblicato l'anno scorso da Castelvecchi. Nel volume, D'Annunzio proponeva anche una ricetta per risanare la sanità malata. Per sommi capi: recidere il rapporto fra politica e gestione delle Asl; rendere virtuosa la gestione delle Asl e aumentare l'efficienza dei servizi. E' alla luce anche di quella passata esperienza di assessore e di questa cura virtuosa da lui suggerita, che il Centro ha chiesto a D'Annunzio di rispondere ad alcune domande sui rapporti fra sanità, politica e poteri forti e sul loro intreccio, oggi come ieri, in Abruzzo.

Professor D'Annunzio, sono i poteri forti il problema della sanità in questa regione?
«Va precisato che non necessariamente questi poteri agiscono fuori o contro la legge. Nella maggioranza dei casi essi utilizzano le leggi che la politica ha messo loro a disposizione, e che non sembra voglia cambiare, anche dopo i limiti e le incongruenze emersi nei tanti anni di vigenza. Leggi che sono già ampiamente idonee a consentire di perseguire quei fini in modo legalmente corretto. Vi sono però sempre gli insoddisfatti, quelli che non si accontentano mai e vogliono sempre di più, costi quello che costi. E ciò sia nel privato che nel pubblico, anche se per fini spesso diversi, resi possibili grazie alla costruzione di un'accorta rete di collusione tra pezzi di quei poteri forti e pezzi della politica. Ma se poi capita, come sembra sia capitato, stando a quanto abbiamo appreso dai giornali e non solo, in varie epoche e circostanze, che qualche politico venga preso con le mani nella marmellata; ecco che viene riesumato il teorema del complotto dei "poteri forti", che vengono utilizzati da quei signori per scaricare maldestramente su di essi, in modo assolutamente autoreferenziale e offensivo per l'intelligenza dell'uomo, tutte le proprie responsabilità, non avendo il coraggio di assumersele tacendo, almeno fino al momento in cui i giudici - ai quali soltanto spetta quel compito - non abbiano fatto chiarezza. Assistiamo ormai a un allucinante dilagare di proclami auto-assolutori tesi a delegittimare la magistratura che, nonostante tutto questo grande disagio nel quale deve operare, continua con lealtà e dedizione a compiere il proprio dovere».

Come si possono neutralizzare i poteri forti?
«Risponderò con tre esempi. Vi fu un assessore regionale alla Sanità, che ho avuto il piacere di conoscere che, in un recente passato, che riuscì a impedire il trasferimento della cardiochirurgia di Chieti, che una parte dei cosiddetti "poteri forti" aveva deciso di mandare nella casa di cura privata Villa Pini. Ma un suo collega assessore della stessa giunta lo aveva minacciato che, se avesse preso quella decisione, gli avrebbe votato contro in giunta. Ma la decisione in giunta non andò perché quell'assessore assunse la responsabilità in via diretta. E così la cardiochirurgia finì nell'ospedale di Colledara dove ancora si trova. Quello stesso assessore rifiutò di concedere ad alcune strutture sanitarie regionali private alcuni aumenti tariffari, ritenendoli immotivati. Ma un altro suo collega, assessore della stessa giunta, cercò reiteratamente di indurlo a erogare quei milioni, assicurando che a trovare quei soldi ci avrebbe pensato lui. Naturalmente il pagamento non avvenne. E ancora: in un'altra occasione, essendosi rifiutato di pagare prestazioni a una casa di cura privata, ritenendole illegittime, come in seguito si dimostrò, lo stesso assessore dovette parare l'assalto di chi lo accusò di non volere dare ricchezza all'Abruzzo. Naturalmente quell'assessore fu cacciato, ma non dai cosiddetti "poteri forti", bensì dalla politica che, a questo punto, si può anche ipotizzare, che quei poteri non volesse in realtà contrastare».

Quell'assessore era lei? «Si, ero io».

Alla luce anche di quella sua esperienza, si è fatta un'idea di ciò che si può fare, nel campo della sanità, per contrastare poteri forti e politica non limpida nel nome dell'interesse dei cittadini?
«Se davvero si vuole realizzare una sanità efficiente, efficace e tarata sui reali bisogni di salute della gente, e che sia nel contempo eticamente corretta, non possiamo pensare di risolvere il problema mettendo pezze calde sui diversi fatti che, ogni giorno, ci vengono prospettati, oppure invocare i "poteri forti"».

Invece cosa bisognerebbe fare?
«Sarebbe necessario, per prima cosa, trasferire il rilevamento dei dati necessari alla pianificazione dei servizi a un'istituzione terza e scientificamente capace».

Quale?
«L'Osservatorio epidemiologico regionale, varato per la prima volta in Abruzzo nel 2002 e assegnato all'Istituto Mario Negri Sud ma subito sparito nell'arco di tre mesi».

E poi?
«E poi si dovrebbero ridefinire le modalità di nomina dei direttori generali delle Asl e ripristinare una struttura di controllo esterna sugli atti amministrativi, come ai tempi del Coreco (Comitato regionale di controllo ndr). Le gare per l'acquisto di beni, servizi e devices medico-chirurgici andrebbero centralizzate a livello regionale o sopraregionale, con pretesa di listini nazionali per ogni singolo prodotto messo in commercio e offerto in gara. Con gradualità, quindi, si dovrebbe invertire la priorità dei flussi finanziari privilegiando un'efficace medicina territoriale basata sui distretti, realmente efficienti, e sull'Adi, l'Assistenza domiciliare integrata. Bisognerebbe poi rivedere tutta la problematica irrisolta delle cure riabilitative, la classificazione, la strutturazione e la distribuzione delle strutture assistenziali ospedaliere pubbliche e private, per giungere, infine, al ripristino del tirocinio pratico ospedaliero post-laurea allo scopo di garantire a tutti i medici la doverosa esperienza pratica che il sistema attuale non é in grado di garantire».

Che effetto ha avuto la ricetta che lei suggeriva nel suo libro «Sanità malata»?
«Ho tentato di contattare alcuni politici, almeno quelli appartenenti a partiti che dicono di porre al primo posto la questione morale, per illustrare loro alcune proposte che, se condivise, consentirebbero di recidere il connubio tra politica e gestione dei servizi, con ripristino di efficienza, qualità e meritocrazia all'interno di un grande recupero etico e di risorse economiche».

Risultato?
«Non sono riuscito a essere ricevuto o non ho ricevuto risposta. Sono davvero un utopista. Ho desistito».

© RIPRODUZIONE RISERVATA