Dal blitz del 2008 alla bufera mediatica

L’ultimo colpo di scena: la richiesta dei pm di inviare gli ispettori

PESCARA. I diciannove mesi di Sanitopoli cominciano con la notizia dell’arresto di Ottaviano Del Turco e la decapitazione della giunta regionale di centrosinistra e finiscono con l’immagine di due magistrati del pool di Pescara, il procuratore capo Nicola Trifuoggi e il pm Giampiero Di Florio a colloquio con il ministro della Giustizia nel giorno in cui, a L’Aquila, Angelino Alfano presenzia all’apertura dell’anno giudiziario. L’incontro segue di poche ore la lettera con cui la procura chiede al Ministero di inviare a Pescara gli ispettori: sono i giorni della bufera mediatica sollevata dalla pubblicazione di un rapporto del Nas disposto dalla procura e consegnato il 16 giugno 2008, un mese prima degli arresti: i carabinieri documentano il sistema dei ricoveri multipli, ma anche i tagli per decine di milioni di euro che la giunta Del Turco avrebbe fatto ai budget di Villa Pini e chiedono l’arresto di Vincenzo Maria Angelini, della moglie Anna Maria Sollecito e di altre quattro persone.

Per Del Turco è la prova della sua innocenza: «Nella vulgata collettiva sembra che questa giunta stesse regalando dei soldi ai privati e adesso si scopre che noi avevamo tolto 50 milioni di euro» commenta l’ex governatore. «Il problema è dove sono andati i soldi che Angelini ha tolto al bilancio delle sue aziende». Il caso monopolizza quotidiani nazionali e programmi tv, La Stampa di Torino arriva a titolare: «Crollano le accuse a Del Turco», come se il processo fosse già stato celebrato. Una campagna mediatica che spinge il procuratore Trifuoggi a difendere l’operato del pool: «Siamo assolutamente tranquilli: le prove ci sono, e le porteremo in aula» ribadisce. «È vero che la giunta Del Turco ha ridotto i budget della sanità, ma solo perché l’aveva imposto il governo».

Ma il caso monta, in parlamento una mozione bipartisan firmata da Pdl e Pd sollecita l’invio di ispettori a Pescara, finché la procura spiazza tutti, parlando di «campagna di delegittimazione» e invita il ministro a disporre l’ispezione. Per Angelini, del resto, la stessa procura aveva chiesto l’obbligo di dimora, ma il gip Maria Michela Di Fine aveva negato la misura perché l’imprenditore, aveva osservato il giudice, aveva collaborato e così facendo si era auto-accusato.

Da quel 14 luglio del 2008, la polemica sul rapporto dei Nas è solo l’ultimo di una serie di colpi di scena dell’inchiesta nata dalle prime ammissioni di Angelini, nell’aprile del 2008. Come quello arrivato a maggio 2009, quando un memoriale aggrava la posizione del deputato del Pdl Sabatino Aracu: a scriverlo è stata la ex moglie Maria Maurizio, che rivela il presunto coinvolgimento dell’ex marito nel sistema di tangenti e favori. E Angelini, che fino a quel momento ha citato solo una richiesta di denaro da parte di Aracu, torna a parlare confessando presunte dazioni per 980 mila euro.

Alla luce delle nuove accuse, i magistrati del pool chiedono l’arresto del parlamentare, ma il 5 novembre il gip respinge la richiesta. Allo stesso tempo, però, ordina il sequestro dei beni: il 6 novembre la guardia di finanza mette i sigilli a un attico di Pescara e a quattro quadri d’autore per un valore pari alle presunte tangenti. Il 7 novembre viene firmato l’avviso di conclusione delle indagini con 35 indagati. Ma non è ancora finita. Il 9 novembre scattano i sigilli per i beni di Angelini: la clinica Villa Pini, a Chieti, sette immobili, cinque auto di lusso e 5 milioni in titoli.