E D'Annunzio celebrò il dolce con i suoi versi

In dialetto e in italiano le lodi dello scrittore pescarese alla creazione del suo amico

 PESCARA. «E' tante 'bbone stu parrozze nove che pare na pazzie de San Ciattè, c'avesse messe a su gran forne tè la terre lavorata da lu bbove, la terre grasse e lustre che se coce e che dovente a poche a poche chiù doce de qualunque cosa doce». Gabriele D'Annunzio celebrò con questi versi il Parrozzo di Luigi D'Amico.  Il 24 luglio 1927, D Amico aprì a Pescara, poco distante dalla casa natale di Gabriele D'Annunzio, un locale che chiamò il Ritrovo del Parrozzo. Per il taglio del nastro, D'Amico aveva preparato due album destinati a ospitare le firme degli ospiti illustri del locale, che chiamò Visitor's book e Albo d'oro.  Quattro giorni prima dell'inaugurazione, l'Albo d'Oro fu portato a Gardone dal Vate perché vi lasciasse una sua testimonianza.  In una lettera di accompagnamento dell'Albo d'oro, Luigi D'Amico scriveva a D'Annunzio: «Spero non mi troverete troppo pretenzioso se amassi aver Voi Comandante ne la prima pagina. Dopo di Voi ho già da tempo una lusinghiera fotografia di S.E. Mussolini con dedica; appresso verranno tutte le prime personalità d'Italia».  Così il 21 luglio 1927, per celebrare il dolce del suo amico, lo scrittore pescarese scrisse: «"Colui che ha abitazione in cielo, è visitatore e adiutore di quello luoco" dice l'Antico. "Colui che abitazione ha nel ritrovo del Parrozzo, è visitatore e perdutissimo goditore di quello parrozzo" dico io Gabriele d'Annunzio».  E ancora: «Dice Dante che là da Tagliacozzo, ove senz arme vinse il vecchio Alardo, Curradino avrìe vinto quel leccardo se abbuto avessi usbergo di parrozzo». Firmato: Gabriele d'Annunzio parrozzàno.

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