E il processo va avanti “Del Turco non è Tortora”

Sanitopoli, il legale della Regione va giù duro: «Qui non ci sono martiri, ma solo traditori della pubblica amministrazione affamati di soldi». E chiede 146 milioni

PESCARA. «In questo processo non ci sono martiri, nel processo sanità non ci sono Enzo Tortora. Non è possibile equiparare certi imputati ad altri soggetti che sono stati assolti in sede di giustizia». E’ quando si avvia alla conclusione della sua arringa che l’avvocato Daniele Benedini, legale del foro di Milano difensore della Regione parte civile nel processo sanità, allontana il paragone sollecitato in questi mesi da alcuni giornali tra il caso Tortora e Del Turco, tra una tortuosa vicenda giudiziaria finita con l’assoluzione per l’ex conduttore di Portobello – dopo un clamoroso errore giudiziario – e una sentenza che non è stata ancora scritta: «No, in questo processo non ci sono martiri, ma traditori della pubblica amministrazione», aggiunge Benedini.

La Regione: danni per 146 milioni di euro. E’ stato il giorno della Regione, la parte civile per eccellenza, al processo sanità che conta 25 imputati e che spazia dal centrodestra al centrosinistra: il processo dei numeri record perché se le sette parti civili che avevano parlato fino ad adesso – le Asl e le case di cura – avevano chiesto complessivamente 101 milioni di euro di danni, nell’udienza di ieri la sola Regione ha chiesto un risarcimento di 146 milioni di euro, diviso in 65 milioni di euro di danni patrimoniali di cui 33 milioni di provvisionale immediatamente esecutiva e 81 milioni di danni non patrimoniali. E’ stato lo stesso Benedini, che ha parlato per circa tre ore, ad aprire la sua arringa annunciando il motivo del maxi risarcimento: «La mia richiesta sarà molto onerosa», ha spiegato prima di arrivare a leggere per almeno cinque minuti una cascata di cifre, «perché il movente di questo processo è il denaro».

Dopo l’introduzione in cui l’avvocato si è scusato anche per l’assenza in aula nella precedente udienza – «è stato un disguido», ha detto, – Benedini ha dedicato la sua arringa a due grandi capitoli, all’associazione per delinquere di centrodestra contestata, tra gli altri, all’ex titolare di Villa Pini Vincenzo Angelini, all’ex assessore alla sanità regionale Vito Domenici e all’ex manager della Asl di Chieti Luigi Conga e, poi, alla seconda associazione, quella targata centrosinista di cui sono accusati anche Del Turco, l’ex assessore alla sanità regionale Bernardo Mazzocco e l’ex segretario alla presidenza della giunta Lamberto Quarta.

«Assetati e affamati di soldi». Se Angelini, nell’arringa del legale, è stato dipinto come un «assetato di soldi» perché «bisognoso di denaro per le sue cliniche», i funzionari delle Asl sono diventati «gli affamati di soldi», ha proseguito l’avvocato delineando, poi, i tratti distintivi delle due presunte associazioni per delinquere. «Il connotato di quella capeggiata da Del Turco», ha detto, «è l’ipocrisia: si picca di aver avviato il risanamento sanitario quando poi la Regione viene commissariata. L’ipocrisia si concretizza con le concussioni sempre più restrittive: pronti a schiaffeggiare Angelini con restrizioni progressive di posti letto, di spesa mentre progrediscono le concussioni. Prima dicono ad Angelini “mettiti in riga” e poi mettono in atto una vergognosa attività concussiva».

La definisce «un’associazione di sepolcri imbiancati», l’avvocato della Regione, mentre tornando a quella contestata al centrodestra dice così: «Una banda che commette reati perché ha scelto di usare la pubblica amministrazione per mettersi in tasca i soldi».

«Non ci sono pentiti di camorra ma testimoni». Benedini, a un tratto, prende a fare la differenza tra pentito e testimone, alludendo al ruolo di Angelini e alle sue confessioni. «In questo processo ci sono testimoni e non pentiti di camorra. Testimone vuol dire essere una persona disinteressata e che depone dicendo la verità. E’ anche il caso dell’autista di Angelini», prosegue, «testimone diretto della tangente del 2 novembre 2007 a Collelongo. La difesa dice che quelle foto non provano la tangente ma i soldi sono rimasti lì, in casa di Del Turco». Infine, prima di avviarsi alla richiesta di risarcimento da 146 milioni di euro e di aggregarsi alla procura chiedendo la condanna di tutti gli imputati e per tutti i reati, Benedini chiede di poter raccontare un episodio, un modo per rispondere al grande argomento della difesa: a Del Turco non sono stati trovati i soldi. «C’è un marito», racconta il legale, «che ingaggia un investigatore per provare l’infedeltà della moglie. L’investigatore segue la donna, filma l’incontro con l’amante, li filma adagiati sul letto ma, poi, si spegne la luce. E il marito fa: accidenti non c’è la prova dell’infedeltà!», ironizza Benedini. «Beh, fino ad adesso abbiamo sentito molti mariti!», chiosa il legale. Il processo torna il 24.

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