Ecco perché Angelini non è stato arrestato

«Angelini ha collaborato e ha accusato se stesso. Non si ravvisano esigenze cautelari». Nel luglio 2008, il gip Di Fine stabilì che l’imprenditore non doveva essere arrestato e respinse anche la richiesta, avanzata dai magistrati di Sanitopoli, di imporgli l’obbligo di dimora

PESCARA. Il rapporto dei Nas che ha rinvigorito gli indagati di Sanitopoli e ridato fiato al silente centrosinistra è catapultato sulla ribalta nazionale venendo subito interpretato come la prova principe per una sentenza che non è stata pronunciata e alla quale si approderà in tempi tutt’altro che brevi, considerando la lunga battaglia che accusaa e difesa ingaggeranno in sede di udienza preliminare.

IL DOSSIER. In quel documento di 84 pagine consegnato alla procura un mese prima degli arresti del 14 luglio 2008, vengono evidenziate le decurtazioni effettuate dalla giunta Del Turco ai danni di Vincenzo Angelini e soprattutto sollecitato l’arresto dell’imprenditore (nonché della moglie e di altri 4 collaboratori) che nel frattempo però, davanti ai pm di Sanitopoli, aveva ricostruito, attraverso 7 confessioni fiume, il presunto passaggio di denaro dai suoi conti corrente alle tasche dei politici. Confessioni ignote ai Nas, a cui la procura aveva delegato un approfondimento tecnico “stralciandolo” dall’indagine affidata alla Finanza. I carabinieri hanno sollecitato l’arresto di Angelini, ma la procura non lo ha chiesto al gip ritenendo che non sussistesse il rischio di inquinamento delle prove.

L’ARRESTO.
Finora, un solo giudice si è pronunciato su possibili misure cautelari a carico di Angelini. E le ha negate. «Alla luce della maturata ed effettiva collaborazione assicurata nel corso delle indagini e anche in considerazione del ruolo di vittima nei plurimi episodi di concussione, non è da ravvisare alcun tipo di esigenza cautelare», scrive il gip Maria Michela Di Fine nell’ordinanza del luglio 2008 con cui dispone invece l’arresto di Del Turco e company. Il giudice, parlando di Angelini, mostra di «apprezzare in senso positivo anche la valenza pregiudizievole delle dichiarazioni accusatorie rese verso se stesso e il gruppo imprenditoriale che gli appartiene». La Di Fine si dice consapevole «della non integralità della collaborazione, essendo suscettibile di ulteriori sviluppi in correlazione al proseguimento dell’attività investigativa». Meno di un anno dopo, Angelini rivela le tangenti versate al deputato del Pdl Sabatino Aracu.

OBBLIGO DI DIMORA.
Il procuratore Nicola Trifuoggi e i sostituti Giampiero Di Florio e Giuseppe Bellelli non chiedono l’arresto di Angelini, ma l’obbligo di dimora, eppure il gip nega anche quello in quanto la collaborazione dell’imprenditore «assume valenza non solo con riguardo al manifesto comportamento di resipiscenza, ma rappresenta un momento di definitiva rottura rispetto alla compagine associativa rappresentata dagli altri indagati, che fa ritenere superati profili di pericolosità sociale insiti nei gravi fatti delittuosi di cui si è comunque reso protagonista». Insomma, dice il gip, Angelini ha parlato, si è autoaccusato di reati gravi come l’associazione per delinquere e la corruzione. «Pertanto», conclude il gip che riassume in mezza pagina la posizione dell’imprenditore, «non si ravvisano esigenze cautelari tali da giustificare anche la sola misura non detentiva richiesta dai pm». Il processo stabilirà se Angelini sia attendibile e se la valutazione del gip sia stata oculata. L’importante è arrivarci il più presto possibile.

L’INCHIESTA.
Sanitopoli, a differenza di altre grandi inchieste della procura pescarese, ha viaggiato velocemente, dribblando le sabbie mobili delle notifiche grazie all’efficienza degli uomini della finanza guidata dal colonnello Maurizio Favia. La rapidità dell’indagine è dovuta anche al fatto che tutti gli atti raccolti dai pm di Sanitopoli sono stati di volta in volta catalogati in un dischetto, dossier Nas compreso, a disposizione della difesa. Un éscamotage per evitare di fotocopiare migliaia di carte che avrebbe avuto l’effetto di dilatare a dismisura i 20 giorni - previsti dalla notifica dell’avviso - a disposizione degli indagati per chiedere di essere interrogati o per presentare memorie difensive.

LE MEMORIE DIFENSIVE.
E’ curioso, ma fino a un certo punto, che nessun avvocato dei 35 indagati abbia presentato una memoria difensiva in cui cavalcare le tesi sostenute nel rapporto del Nas. In realtà, è questione anche di strategia difensiva. Depositare una memoria equivale a un tentativo di demolire l’impalcatura dell’accusa e di sventare la firma sulla richiesta di rinvio a giudizio, ma significa anche scoprire le proprie carte in anticipo, rischiando di offrire alla procura l’assist per ulteriori accertamenti. Ma la memoria non presentata ai pm, può essere depositata di fronte al gup. Insomma, il rapporto del Nas che ha innescato la bufera mediatica di questi giorni, potrà essere una delle fiche in mano alla difesa durante l’udienza preliminare. Ma sarà il gup, e solo lui, a valutarne il peso. Che oggi, a richiesta di processo non ancora firmata, a udienza preliminare neppure fissata, a processo non ancora cominciato, a sentenza ben lontana dall’essere emessa, è impossibile fare.