Giustizia lumaca, la sentenza arriva dopo 42 anniE i giudici fanno uno sconto alle assicurazioni

La Cassazione decide il risarcimento per un incidente in Abruzzo del 1969 in cui morì una donna. In più riduce l'indennizzo al vedovo perché si è risposato

PESCARA. Le nuove nozze del vedovo (o della vedova) fanno bene alle casse delle assicurazioni perché nel calcolo del risarcimento, per indennizzare della perdita del coniuge deceduto a seguito di incidente stradale, vanno detratti i benefici economici e «morali» che provengono dal nuovo matrimonio. Lo sottolinea la Cassazione - con la sentenza 6357 - al termine di una causa quarantennale (svolta in Abruzzo e in Umbria, dati i tempi giurassici) nella quale a un ingegnere, rimasto vedovo nel 1969 e poi risposatosi altre due volte, è stato limato l'indennizzo per via del terzo matrimonio. Sì, perché le seconde nozze durarono pochissimo e dunque, l'apporto al complessivo tenore di vita, da parte della seconda moglie, non è stato preso in considerazione. Mentre la terza sposa, essendo durata più a lungo a fianco dell'ingegnere, ha comunque dato un contributo. Non fosse altro che in termini di collaborazione domestica, contribuendo così ad alleviare il danno per il mancata apporto della defunta nel portare avanti il menage familiare. Da qui il diritto dell'assicurazione a corrispondere un po' meno a chi non rimane vedovo inconsolabile!

Per arrivare a questa conclusione ci sono voluti 42 anni. Il verdetto finale della Cassazione è arrivato su una vicenda giudiziaria nata il cinque luglio del 1969, giorno dello sfortunato incidente stradale nel quale un giovane ingegnere, pieno di belle speranze nell'Italia del «boom», perse la moglie.

Da allora, per avere il giusto risarcimento dalla società assicuratrice del signor Tullio S., conducente del veicolo che si era scontrato con la signora Teresa L., guidatrice inesperta (ex moglie dell'ingegnere) compartecipe al 50 per cento dell'incidente letale, sono state necessarie una causa penale partita nel 1970 circa e conclusasi nel 1976, e una causa civile iniziata con citazione del 16 dicembre 1978, passata due volte dal giudice di secondo grado ed altrettante, con ieri, al cospetto della Suprema Corte.

Sono cambiate, nel frattempo, non solo il destino del vedovo - che superato il lutto, si è risposato altre due volte - ma anche le sedi giudiziarie dove si è sviluppata la «causa lumaca» che da Pescara è andata a finire alla Corte di appello dell'Aquila per slittare - dopo il primo approdo in Cassazione, nel 1993 - fuori regione, a Perugia, designata quale corte di rinvio.

Negli uffici giudiziari umbri, tra consulenze, prove presuntive e ricalcoli, la «stagnazione» del procedimento è durata fino alla fine del dicembre 2007. In Cassazione il ricorso dell'ex vedovo è pervenuto nel 2009 e ieri c'è stato il deposito definitivo della sentenza 6357.

Alla fine della fiera, l'ingegnere ha avuto complessivamente diritto a 22 milioni di vecchie lire - nemmeno rivalutabili perché l'avvocato aveva dimenticato di chiederlo - e sua figlia Maria Pia, rimasta orfana a quattro anni, ha ricevuto poco più di 250 milioni, sempre in vecchie lire.

«Ai fini della liquidazione dei danni subiti da uno dei coniugi per la morte dell'altro coniuge causata da fatto illecito altrui», ha stabilito la Cassazione, «la situazione che si è determinata a seguito delle nuove nozze contratte dal coniuge superstite in corso di causa, se certamente irrilevante sotto il profilo della "compensatio lucri cum damno", non essendo i vantaggi patrimoniali acquisiti dal danneggiato attraverso il successivo matrimonio, conseguenza diretta ed immediata del fatto illecito, deve essere, tuttavia, valutata dal giudice al fine di accertare in quali effettivi limiti il pregiudizio scaturito da tale illecito sia stato concretamente eliso dalle nuove nozze».

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