Il conflitto aquilano per il riconoscimento

di Sergio Baraldi

«Ringraziatemi» ha dichiarato Chiodi rivolto all’Aquila, quasi che la città fosse sorda e ingrata. Con garbata ironia, il nostro Giustino Parisse ha osservato ieri sul nostro giornale che, sì, in fondo è corretto ringraziare Chiodi, perché con quelle parole il presidente della Regione ha rivelato la vera natura del politico, che non consiste nell’impegnarsi per il bene comune in nome della responsabilità che si è assunto, ma nel cercare di ottenere comunque un ritorno in termini d’immagine o di consenso. Molti cittadini dell’Aquila hanno affidato al nostro giornale e al nostro sito web il loro sconcerto. Dico subito che, a mio avviso, Chiodi ha commesso un errore di stile e politico del quale, probabilmente, dopo quello scatto si è reso conto lui stesso.

Ma che cosa ha chiesto con quelle parole Chiodi agli aquilani? Ebbene, il presidente-commissario ha avanzato un’istanza di riconoscimento, che corrisponde a un’affermazione della propria identità. Vuole approvazione. Approvazione per il difficile incarico che svolge. Per quelli che ritiene i “suoi” risultati. Il punto è che per ottenere l’approvazione alla quale aspira deve delegittimare la domanda di riconoscimento eguale e contraria che proviene dagli aquilani: il riconoscimento di diritti che ritengono inascoltati, di speranze che sentono deluse. Sullo sfondo delle macerie, si mette in scena la tensione che può provocare una lotta per il riconoscimento.

Lo scontro si svolge secondo una dinamica nella quale l'uno nega la richiesta dell'altro. Simboli e sentimenti dell'uno cancellano quelli dell'altro. Per affermare la propria identità si finisce per svuotare quella dell'altro. Prendendo a prestito un termine di Sartre, emerge una patologia dei rapporti di riconoscimento. Dobbiamo sapere che questa diventa la forma di un conflitto dilaniante. Infatti, Chiodi per affermare il proprio ruolo ha utilizzato un tono ultimativo. Gli aquilani gli replicano disincantati. Ma il sindaco Cialente, in qualche modo, è entrato nel gioco: pure lui presenta istanza di riconoscimento per se stesso e per la città ferita, pure lui ha una identità da sostenere. E alimenta lo scontro con richieste perentorie: Chiodi chieda scusa.

Da cosa scaturisce questa esigenza di riconoscimento intersoggettivo? Da un mix di desiderio e di timore. Che cosa desidera e insieme teme Chiodi? Forse che si sia aperto un ciclo politico nuovo nel Paese nel quale la sua rielezione diventa più difficile. Avverte che il clima attorno a lui è mutato, che la sua immagine è appannata. E reagisce. Ha paura di perdere. E si difende attaccando. Il nostro Giustino, a mio avviso, ha colto con finezza il fatto che dietro questa rivendicazione si cela una cultura politica insieme preoccupata e datata: una concezione paternalistica del rapporto con i cittadini, l'idea che i governati siano quasi dei sudditi che devono gratitudine a chi li rappresenta.

Chiodi ha avuto certamente un ruolo importante nella restituzione parziale delle tasse da parte degli aquilani, ma per questo obiettivo si sono impegnati i parlamentari abruzzesi, senza dimenticare il peso determinante dell'ex sottosegretario Gianni Letta. E ricordiamo l'allarme lanciato per tempo dall'opposizione, il Pd in particolare. Ora il paradosso è che il grido "ringraziatemi" si capovolge nel suo contrario: in un'ammissione di debolezza invece che di forza.

Anche Cialente teme la prossima prova elettorale e desidera essere riconfermato sindaco. Se vogliamo rintracciare la base materiale del conflitto di riconoscimento che oppone commissario e sindaco, la dobbiamo trovare nell'istinto di autoconservazione della politica e nelle prossime elezioni comunali.

Da questo punto di vista, Parisse ha ancora ragione. Chiodi svela la vera posta in gioco: il voto. Per di più, le elezioni all'Aquila saranno una chiave importante per decifrare i prossimi assetti politici abruzzesi. Se prevarrà il centrosinistra, per Chiodi arriverà un segnale certo poco favorevole. L'Aquila potrebbe annunciare un'inversione di tendenza. Del resto, si avverte la difficoltà delle giunte di centrodestra, e anche quella di Chiodi non brilla.

Si capisce, quindi, la molla che ha fatto scattare il presidente e il sindaco. Sono i duellanti di una partita che potrebbe influenzare i prossimi equilibri regionali. Del resto, Chiodi è titolare di tutti i poteri possibili. E' in prima linea. Lo stesso candidato al Comune del centrodestra rischierà di diventare una sua controfigura. Il concorrente che resta nell'ombra è lo stesso commissario. Se non si comprende questo, non si capisce il non detto della proposta di Piccone di un Monti per L'Aquila.

Piccone ha presente il pericolo di un referendum su Chiodi, sembra impersonare il centrodestra che intuisce la necessità di un ritorno a fare politica, e cerca una soluzione: sa che all'Aquila, comunque potrebbe vincere o perdere Chiodi. La conferma viene proprio dal bisogno di riconoscimento rivelato dal presidente, che ci dice come la difesa del suo ruolo politico sia diventato il luogo in cui confermare il suo operato contestato da più parti. E la conferma è in mano agli altri: gli aquilani. Ecco il suo "ringraziatemi".

C'è, tuttavia, una differenza tra Cialente e Chiodi. Cialente è un sindaco che ha visto crollare la sua città, che ha sperimentato i suoi lutti, le sue delusioni. Credo che si possa capire cosa significhi per chi ha la cura di una città assistere alla frantumazione della propria comunità. Per questo, a mio avviso, anche quando Cialente commette degli errori, sbaglia parole o gesti (è sicuramente successo) non può che soccorrere la solidarietà verso ciò che rappresenta: il trauma del nostro terremoto. D'altra parte, forse Cialente dovrebbe accettare un'osservazione. Proprio perché la sua figura racconta una storia di dolore e di possibile rinascita che appartiene agli abruzzesi, non ha bisogno di ricorrere alla teatralità della politica, compresi i suoi conflitti, per difendere la dignità degli aquilani e il loro diritto al futuro. E' anzi comprendendo le difficoltà degli altri, anche quelle di Chiodi, che il sindaco dell'Aquila può aiutare l'Abruzzo a riconoscersi nello specchio drammatico del nostro capoluogo.

Questa a me sembra la preziosa lezione che ci proviene dai cittadini aquilani: coloro che tutto hanno perso, hanno una capacità di comprendere gli altri che scaturisce dall'avere vissuto una sofferenza profonda. Chiodi, che non sa, può difendersi con il conflitto politico; Cialente, che sa, dovrebbe farlo con la mitezza non politica. Non a caso il nostro Giustino annota tra le righe del suo commento di ieri la vera mancanza di Chiodi: l'avere messo al centro delle parole se stesso, forse il suo partito, piuttosto che gli altri, i cittadini dell'Aquila. Questo monito dovrebbe valere per tutti: la gente dell'Aquila dovrebbe essere il cuore dei nostri pensieri.

Il nostro giornale ha esortato il governatore a riflettere sul rischio che corre interpretando il suo ruolo in modo unilaterale, accumulando deleghe che lo paralizzano. C'è una tendenza a sostituire il tutto, la società abruzzese e il suo interesse generale, con una parte (il suo schieramento, il suo partito, la sua presidenza). Negli ultimi tempi, Chiodi si è prestato a diventare un elemento di divisione invece che di unità e di collaborazione. Troppe volte cede a letture partigiane dei fatti, che gli impediscono di essere il "presidente di tutti". In troppe occasioni la sua Regione sembra opaca invece che trasparente, impegnata a fare spazio a una rete d'interessi elettorali particolari piuttosto che porsi a fianco dei cittadini. Chi sta al vertice deve assumersi il maggior carico di responsabilità verso gli altri. Le elezioni si possono vincere o perdere. Ma la partita della nostra concezione del bene comune, quella dovrebbe vincerla la giustizia. E L'Aquila è il simbolo di una dolorosa ingiustizia.

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