IL DIRITTO AL FUTURO

di Sergio Baraldi

Assumo la direzione de "Il Centro" in un momento d'incertezza per l'Abruzzo. Le ipoteche del passato sembrano presentare le scadenze tutte insieme. L'Abruzzo più ferito dal terremoto, il capoluogo L'Aquila, e quello che vorrebbe voltare pagina e ricominciare rivendica il diritto al futuro. Ma questo diritto sembra messo in discussione a Roma come qui. A chi arriva da fuori per capire, il paradosso sembra consistere nel fatto che, in questa regione, abbiamo visto mettere in scena una sfida politica che ha scelto di sperimentare la sua strategia sulle macerie: una rifondazione della politica, la quale in nome della decisione ha privilegiato le procedure d'emergenza nelle mani di pochi, ridefinito i rapporti tra istituzioni, allentato il sistema dei controlli, oltrepassato gli organismi rappresentativi, marginalizzato la partecipazione dei cittadini. Il simbolo di questa politica, che garantiva di risolvere il dramma del "dopo" in tempi rapidi, è diventato il commissariamento. Per il premier che ha portato i grandi della terra a passeggiare tra le vie spettrali dell'Aquila doveva essere uno dei suoi "miracoli", come i rifiuti di Napoli o gli sbarchi fermati a Lampedusa o l'Expò di Milano. Oggi questa terra sta diventando uno dei punti cardinali della disillusione per gli insuccessi del potere dell'eccezionalità, delle spettacolari promesse mancate. L'emergenza resta viva, ma a Roma ha perso la sua visibilità.

Non c'è solo l'ordinaria battaglia per sopravvivere al terremoto. C'è la questione sanitaria, con i suoi debiti che stanno divorando interi settori del bilancio pubblico. Collegata al dissesto della sanità, c'è la trafila dei processi che, faticosamente, sembrano sul punto di arrivare in aula per sentire, alla fine, una verità convincente. Oggi non sappiamo se le inchieste che hanno decapitato una classe dirigente e ribaltato i rapporti politici debbano essere considerate solide, e l'impianto d'accusa confermato. I giudici non si sono ancora pronunciati, la questione morale resta in attesa di giudizio. C'è un sistema economico che aveva trainato la regione fino a farla considerare un modello di crescita con la sua industrializzazione, le sue autostrade, le sue università. Uscito dal girone delle regioni meridionali, l'Abruzzo era entrato a far parte del centro d'Italia che si distanziava. Lo sviluppo aveva rappresentato l'orgoglio del riscatto, ma negli ultimi anni ha rallentato, fino a fermarsi. La regione ha pagato il prezzo delle nuove condizioni della competizione internazionale. Ma è vero che non è seguita una modernizzazione. L'adattamento al cambiamento che trasforma il mondo, è apparso in ritardo. Ha prevalso spesso il tentativo di competere con i paesi emergenti sul piano dei costi, fino a perdere il confronto. Poi il terremoto ha inferto il suo colpo. A esso si è sovrapposta la scossa della crisi internazionale. Ora qualche modesto segnale d'inversione s'avverte. Ma l'occupazione rischia di rimanere un fattore stabile di crisi. I nodi strutturali che ostacolano lo sviluppo sono sempre in attesa di soluzione, mentre l'addizionale Irpef è al livello più alto e pesa su famiglie e imprese. Si ha l'impressione che l'Abruzzo sia prigioniero delle sue emergenze. Il presidente Chiodi ha certamente buona volontà, ma l'avere accumulato nelle sue mani il commissariamento di tanti capitoli drammatici lo espone al rischio di diventare il simbolo di un decisionismo che fatica a produrre decisioni. Come se i fantasmi del passato non trovassero pace e trascinassero per i piedi il futuro. La nuova identità sembra un provvisorio che diventa "durevole". E il durevole vede allungarsi il suo tempo. E' identità questa? E quale memoria si riuscirà a salvare in una ricostruzione che all'Aquila sembra avvenire senza una città, dove una società tuttora viva si aggira tra le vie puntellate o la new town?

Che cosa può fare il giornale degli abruzzesi per ascoltare la voce dell'Abruzzo? Nonostante l'incertezza, la società sembra avere bisogno di normalità. Vuole sperare. A Pescara, a Chieti e Teramo si avverte la richiesta di un nuovo inizio. All' Aquila la società si auto organizza. Il giornale ha raccontato con partecipazione i giorni del terremoto. Ha spiegato i problemi e gli scandali che affliggono questa terra. Forse oggi l'Abruzzo chiede una nuova narrazione. Si aspetta la verità, non promesse irrealizzabili, per uscire dalla stagnazione. Cerca uno scatto. Desidera ritrovare fiducia. E' stanco di ansia. "Il Centro" vuole offrire ai lettori le verità che accerteremo; sostiene chi non smette di chiedere il diritto al futuro; è pronto a cooperare per mobilitare le energie migliori. Proporremo ai lettori l'arena di una discussione pubblica che avvii una fase di riflessione. Chiederemo conto a chi governa dell'uso che ha fatto della delega ricevuta. Ma per avere un'identità è necessario un progetto, sapere in che direzione andare. Forse l'Abruzzo deve tornare a rappresentarsi e pensarsi come questione nazionale. La Regione non può risolvere da sola una così pesante eredità di emergenze. Ma questa ambizione chiama in causa la classe dirigente, e soprattutto la politica cui è affidata la responsabilità più alta. Se l'Abruzzo rivendica il diritto al futuro, occorre mettere in campo competenze, visione, coraggio. Chi parla per l'Abruzzo a Roma? La maggioranza di centrodestra rappresenta le esigenze del governo sul territorio? O, al contrario, difende le domande del territorio al tavolo del governo nazionale? Anche l'opposizione ha un compito importante. Quando in gioco c'è la rinascita e il bene comune si dovrebbero superare le divisioni tra gli schieramenti, che si giustificano quando si tratta di competere per le amministrazioni. Tutti dovrebbero recuperare la capacità di collaborare e immaginare soluzioni insieme.

Il conflitto, oggi, non può dividere gli abruzzesi. Semmai, occorre una strategia che faccia della questione del terremoto una leva per la rinascita di tutti verso un governo che ha abdicato alle sue responsabilità. Un giornale aperto, pluralista, deve rappresentare la società che legittimamente vuole pesare nelle scelte. "Il Centro" guarderà con attenzione ai cittadini, che si riprendono la propria autonomia, la propria sovranità. Proprio in Abruzzo, con la "protesta delle carriole" all'Aquila, si è innescato un movimento che ha spinto i cittadini a chiedere spazi di partecipazione. Cresce un protagonismo sociale che non vuole incidere solo nel giorno delle elezioni, ma intende far sentire la propria voce nelle scelte pubbliche che li riguardano ogni giorno. Qui sembra essersi formato un primo movimento che, unito al dibattito sulle rete, ha contribuito a cambiare il clima in Italia. Fino a sfociare nei risultati del referendum. L'interesse generale è la bussola che deve guidarci nel valutare le cose, senza dimenticare che c'è una questione di democrazia dentro la questione nazionale dell'Abruzzo.

Ringrazio la mia redazione per la fiducia che mi ha accordato, decisiva per realizzare il giornale amico che sia al vostro fianco. Per stile esemplare, il nostro editore, il Gruppo L'Espresso, garantisce ai suoi direttori piena autonomia. Ringrazio il collega Roberto Marino che mi ha preceduto alla guida del giornale, e il direttore editoriale Luigi Vicinanza per il suo intervento prezioso in questi giorni. Dove i cittadini crederanno che vi sia un diritto leso o dimenticato, là sarà il giornale. E' il patto d'affetto che, insieme con la redazione, vorrei rinnovare con i lettori. La partita che giochiamo è la speranza per il futuro. Noi non vogliamo perderla.
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