L'Abruzzo e il coraggio di cambiare

di Sergio Baraldi

Quando abbiamo proposto di fare ora il vero Patto del lavoro, abbiamo suggerito alla società abruzzese di cambiare prospettiva e di dare priorità alla crescita, di accettare come strategica la costruzione di un sistema competitivo all’interno dell’Europa e della globalizzazione di medio raggio, capace di legare la ricostruzione de L’Aquila e lo sviluppo. Questo orizzonte comporta di modellare un nuovo patto sociale, nel quale la società riconosce la centralità del sistema produttivo e decide di scommettere sulla modernizzazione del suo tessuto economico, sullo sviluppo, per vedersi restituiti, in un secondo momento, i dividendi in termini di occupazione e valorizzazione dei redditi. Una prospettiva che non potrebbe essere più lontana dalla logica dell’assistenzialismo che, per troppo tempo, ha prevalso in Abruzzo e che rappresenta l’eredità meno buona del “gasparismo”, che pure ha prodotto anche cose buone per la società. Ma la verità è che la seconda fase interpella tutti: politica, sindacati, impresa, cittadini. E spinge tutti a misurarsi con la necessità di rimettersi in discussione, di adattarsi a un mondo che muta velocemente. In troppi in Abruzzo si erano illusi di potere attraversare la crisi, che non è finita e che potrebbe aggravarsi, senza essere obbligati a cambiare i propri comportamenti, i propri modelli organizzativi, i propri prodotti, la propria cultura.

Il rischio per l'Abruzzo è che possa declinare per non essersi preoccupato abbastanza della propria sopravvivenza. Ma quando sembrava che il vecchio fosse come il morto di Marx, che tiene per i piedi il vivo del futuro, sembra apparire una diversa consapevolezza. I sindacati e l'impresa hanno dato segnali importanti di volere ripensare il proprio ruolo all'interno del Patto del lavoro, avviando di fatto una seconda fase. Ma una sorpresa è arrivata anche dalla politica. Il presidente Chiodi si è collegato al dibattito in corso sulle colonne del giornale, annunciando l'intenzione di aprire una nuova stagione. Ne ha indicato i temi portanti, ben calibrati di cui parla nell'intervista al nostro Antonio De Frenza. Un cambiamento che va sottolineato, perché il presidente finora era sembrato poco propenso a ridisignare la sua leadership e la sua strategia. La decisione va nella giusta direzione e peserà: il ruolo del governo regionale al tavolo del Patto, infatti, resta cruciale. Un segnale importante è arrivato anche dall'opposizione. Il deputato dell'Idv Costantini ha scavalcato a sinistra il Pd, e lo ha sfidato a fare il contrario: a uscire dal Patto. La risposta del principale partito dell'opposizione, data dal capogruppo in Regione, D'Alessandro, è stata negativa: il Pd intende rimanere nel Patto, perché questo è nell'interesse dell'Abruzzo. Aggiungerei che, semmai, è Costantini che dovrebbe entrarci: la sua voce critica, potrebbe essere d'aiuto. Qualcosa si muove.

Nei giorni scorsi, i professori della nostra università, Mauro e Sarra, hanno fornito analisi di grande interesse sui problemi che sono davanti a noi. E' difficile aggiungere qualcosa. Che cosa abbiamo visto all'opera in questi giorni tra politica, imprese, sindacati che si sono interrogati sulla crisi? Credo che si possa rispondere: si è visto il coraggio di cambiare. Più che le strategie economiche possibili che saranno definite, è questa virtù che può dare speranza. Quel coraggio che ha fatto dire al vescovo Bruno Forte parole dure sulla politica nazionale incapace di dare risposte ai cittadini, dimostrando quanto possa incidere una visione etica del bene comune sulla collettività. Lo stesso coraggio mostrano quegli industriali, sindacalisti o esponenti politici, che non si sono fermati a ragionare secondo le logiche scontate degli schieramenti o della propria convenienza particolare, della paura che impedisce di superare i recinti della tradizione. Questo è il segnale inatteso emerso dalla società abruzzese che dimostra come sia possibile sperare in una società nella quale la competizione tra le forze politiche e sociali non scompare, ma sembra potersi trasformare in confronto, e persino in cooperazione, quando c'è in gioco l'interesse dei cittadini. E di coraggio ce ne sarà bisogno, se si vorrà andare avanti. Chiodi, innanzi tutto, è chiamato a guidare la concertazione del nuovo Patto, un termine che al presidente non piacerà, perché gli ricorda i governi Ciampi e Prodi. Ma non è così. Secondo gli studiosi, la negoziazione è un processo attraverso cui i partecipanti si dividono la posta in gioco e risponde a un modello aggregativo risultato della politica intesa come scambio e mediazione; la concertazione, invece, è un processo che fa riferimento al modello integrativo che ha nella politica come perseguimento del bene comune il suo punto d'appoggio. Per quel poco che conosco il presidente Chiodi, lo vedrei propenso alla seconda visione: la sua proposta positiva sembra confermarlo. Ma guidare un confronto in cui gli attori ridefiniscono i problemi e inventano nuove soluzioni non significa rinunciare alle proprie responsabilità.

Sia Chiodi e il centrodestra sia il centrosinistra non dovrebbero commettere l'errore di voler dire all'impresa quello che l'impresa deve fare: gli industriali rispondono alla logica di mercato che sfugge a quella politica in senso stretto, devono essere lasciati liberi di fare il loro mestiere, sarà poi il mercato a compiere la selezione. Il compito fondamentale di Chiodi e della politica sta nel costruire il contesto o l'ambiente all'interno del quale impresa e sindacati saranno più o meno incentivati ad agire. Il che vuol dire, a mio avviso, guardare anche in casa propria. Occorre realizzare una riorganizzazione della Regione per sburocratizzarla, ridurne ancora i costi, renderla più moderna, efficiente e più capace di rispondere alle esigenze economiche e sociali. Ma vuol dire anche mettere in campo la capacità di regolare lo sviluppo regionale ponendosi in rete con il contesto europeo L'impresa si vede riconosciuta una centralità e una priorità carica di attese. E compito della politica è di configurare un diverso modello di relazione tra l'Abruzzo e il centro, che non è più solo Roma ma anche Bruxelles. Questo nuovo posizionamento del pubblico, da solo, richiede un riorientamento dell'amministrazione e della politica a favore di un sistema locale che sappia guadagnarsi opportunità nella partecipazione ai benefici (e ai vincoli) europei. Senza perdere finanziamenti, come potrebbe accadere per i Fesr. Ottenuta la conferma dei Fas da parte del governo nazionale, la Regione forse dovrebbe considerare altre questioni.

La prima è stata toccata ieri dal prof. Mauro nel suo bell'articolo: non sempre sono i fondi che generano sviluppo, mentre i progetti possono farlo. Quindi, una strategia troppo dipendente dai fondi Fas, soprattutto se male utilizzati, rischierebbe di far rientrare dalla finestra l'assistenzialismo dal quale dovremmo affrancarci. Gli stanziamenti devono servire per realizzare progetti, non per avere soldi da distribuire e spendere. Chiodi e la politica, quindi, devono affrontare una difficile sfida, rovesciando una cultura diffusa che ha causato danni. Inoltre, la Regione potrebbe recuperare altre risorse da investire nello sviluppo da una ristrutturazione della spesa, mentre il collegamento con l'Europa potrebbe consentirci l'accesso ad altri fondi. L'Abruzzo dovrebbe imparare a diventare meno dipendente dai finanziamenti romani e più autonomo nel reperimento di risorse. Ma per farlo deve avere progetti. In questo quadro, diventa decisivo il nodo di un sistema universitario regionale.

Coraggio è però una virtù richiesta anche all'impresa, che deve congedarsi da un'idea di attività produttiva giocata o sulla flessibilità data dalle piccole dimensioni o sulla competizione di costo, che quasi sempre vuol dire basso costo del lavoro. L'impresa dica quali riforme l'aiuterebbero a competere sui mercati nazionali e soprattutto internazionali, quali forme organizzative la facilitano; prenda la parola sulle infrastrutture, spieghi quali sono quelle materiali che ritiene indispensabili e se occorre uno sforzo su quelle immateriali, come la banda larga in regione. L'impresa deve fare il proprio mestiere: investire, agganciare la parte più dinamica della domanda. E' responsabilità dell'impresa porre al centro l'innovazione e con essa il rapporto con l'università, chiedendo se lo ritiene opportuno alle forze politiche di rimodulare i Fas per rispondere a questa domanda.

Come osservava in un articolo sul nostro giornale il responsabile economico del Pd, Di Fonzo, non andremo lontano se investiamo 23 milioni per attività sportive e culturali e solo 7 in ricerca. Molti fattori hanno imposto al sistema Abruzzo di cambiare strategia. Goethe diceva: "Le idee ispirate dal coraggio sono come le pedine sulla scacchiera: possono essere mangiate, ma ti fanno vincere la partita". Il nostro giornale incoraggia Chiodi e gli attori impegnati nella partita per l'Abruzzo ad avere coraggio.

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