L'Abruzzo e il governo del professore

di Sergio Baraldi

La nascita del governo Monti e la caduta di Berlusconi pongono il sistema politico Abruzzese di fronte a una svolta che deve essere valutata con attenzione. Il governo del Professore ha fornito alcune indicazioni sulle linee che intende seguire, che segnano una profonda discontinuità con l’orizzonte berlusconiano. Uno scarto che va analizzato per capire come può muoversi l’Abruzzo.

Il governo Monti arriva dopo che il governo del centrodestra aveva rivelato la sua paralisi crescente di fronte alla crisi internazionale che ha colpito l’Italia come un anello vulnerabile per il suo debito e il rischio. Berlusconi non è stato bloccato solo dai veti interni alla sua maggioranza. E’ caduto perché la crisi ha reso manifesto il conflitto latente tra le sue promesse elettorali e la possibilità effettiva di realizzarle già prima dell’emergenza. L’ex premier ha cercato di fronteggiare la situazione prima negando la crisi, poi con una politica di tagli e imposte mascherate. Il risultato è che ha innescato una crisi verticale della sua legittimità.

Ora Monti fa capire che seguirà una direzione diversa, perché non si può procedere solo con sacrifici che pesano sulla vita dei cittadini. Interventi per contenere la spesa saranno necessari, ma andranno inquadrati in una prospettiva nuova, bilanciati da altre misure. Non sono nuove tanto le scelte che Monti intende compiere, lo ha detto lui stesso citando le proposte dei migliori studi sul debito pubblico italiano.

Quello che segna una svolta è l'inquadramento dei problemi italiani in una visione che cambia la cornice e riconnette l'Italia all'Europa. Il Professore spiega che è stata la mancanza di crescita a vanificare i sacrifici fatti finora. Dobbiamo fare in modo che mentre s'interviene sulla montagna del debito si agisca anche sull'altra montagna: quella della ricchezza prodotta.

Monti sembra voler riscrivere la composizione del gettito all'interno della delega fiscale. Ci saranno probabilmente misure previste come la riforma della previdenza, le privatizzazioni, le liberalizzazioni e altri tagli. Tuttavia, il cuore della sua azione consisterà in una scelta innovativa: l'alleggerimento delle aliquote sui produttori di ricchezza, vale a dire i lavoratori e le imprese.

L'asse del Paese si sposterebbe dalla polarità dei sacrifici alla crescita. Si deve ridurre la spesa, ma senza dimenticare le condizioni di vita dei cittadini e il rilancio del Paese.

Come si vede, Monti disegna per l'Italia un progetto che rimette al centro la costruzione del futuro, la modernizzazione, la competitività del sistema, togliendo ossigeno ai privilegi e alle corporazioni. A cominciare dalla politica. Il contrario di quanto stava facendo Berlusconi che acuiva le diseguaglianze, non toccava i privilegi del ceto politico, non varava riforme.

Il governo Monti, quindi, viene definito "tecnico" impropriamente: il suo programma, in realtà, non potrebbe essere più politico. E va a colmare un vuoto che è stato aperto da Berlusconi quando ha dimostrato di non sapere leggere la crisi come evento strutturale.

Nel vuoto è caduto anche il centrosinistra, che non è riuscito a farsi trovare pronto all'appuntamento con un progetto e una classe dirigente che delineano un'alternativa credibile.

Se il tentativo di Monti riesce, e reggerà fino alla fine della legislatura, il sistema di partiti che uscirà dalle urne nelle elezioni del 2013 sarà quasi certamente diverso da quello attuale. Più il governo Monti rafforzerà la sua identità moderata e riformatrice, dicendo le cose che il Paese si aspettava (lo affermano i sondaggi) più lo spazio politico subirà una ristrutturazione. Si apre una fase che impone un cambio di mentalità. E' la forza di una crisi epocale che lo richiede.

L'Abruzzo si trova a dovere fare i conti con questo cambiamento. I segnali che arrivano dalla nostra politica, però, sono discordanti. Il presidente Chiodi e la sua maggioranza sembrano fare fatica a sintonizzarsi con il tempo nuovo. Forse non si sono ancora abituati all'idea che Gianni Letta e gli altri referenti non rispondano più al telefono di Palazzo Chigi. La maggioranza e il governo regionale rivelano il ritardo con cui si adeguano alla nuova situazione in cui l'Abruzzo deve imparare ad affidarsi alle proprie capacità, alla validità delle sue strategie e dei suoi progetti. Strategie? Progetti?

Ma è proprio questo che si stenta a ritrovare nelle parole e nelle scelte dei suoi dirigenti: un salto di qualità. Piuttosto, danno l'impressione di subire gli avvenimenti.

Il presidente Chiodi può essere indicato a simbolo di questo improvviso spiazzamento. Monti era stato appena incaricato e Chiodi, in un'intervita al nostro giornale, ha spiegato che forse occorrerà rimodulare il Patto per lo sviluppo. Il presidente non sembra ammettere che il Patto per lo sviluppo, che resta un laboratorio decisivo, andrebbe adattato ai mutamenti non per Monti, ma per l'avanzare di una crisi sistemica.

Prima Chiodi ha accettato con ritardo l'idea della concertazione con sindacati e imprese; ora sembra riconoscere in ritardo che il processo del Patto ha bisogno di riformulare l'ordine delle priorità e definire meglio le strategie. Non a caso imprese e sindacati si sono affrettati a manifestare fiducia verso Monti.

Sembra prevalere in Chiodi una lettura ideologica che gli impedisce di cogliere fino in fondo il nuovo della fase che si apre, nella quale lui per primo è chiamato a governare in modo diverso. Non è quello che i professori Mauro e Sarra gli sollecitano con i loro commenti sul nostro giornale? Anche sulla ricostruzione Chiodi ha compiuto un passo poco comprensibile. E' il commissario alla ricostruzione, ha tutti i poteri (anche troppi) e in consiglio regionale davanti alla commissione ha attaccato tutti gli altri, dal comune de L'Aquila all'Europa.

Al di là del merito delle questioni, il commissario gestisce una materia incandescente, perché ha a che fare con il dolore di migliaia di cittadini.

La ricostruzione rappresenta anche un volano possibile per la crescita della regione. Dovrebbe svolgere il suo compito in modo da unire piuttosto che dividere. Anche se può avanzare delle ragioni a suo sostengo (ma è da dimostrare), resta sua responsabilità porsi come figura di speranza e di aiuto. Invece, Chiodi sembra non tralasciare nessuna occasione importante per proporsi come un elemento di contrapposizione. Inoltre, è difficile da capire l'ostinazione con cui Chiodi (e Piccone con lui) ignora l'esigenza di restituire le istituzioni abruzzesi alla normalità, chiudendo la fase del commissario per affidare agli enti locali la ricostruzione, come suggerisce persino Zamberletti.

La Regione, in ogni caso, conserverebbe un ruolo decisivo. Si avverte come una difficoltà a riconoscere che il ricorso a poteri e procedure eccezionali si sia rivelato un problema, non una soluzione. Non si comprende se dipenda dalla difficoltà del presidente a distaccarsi dal modello berlusconiano di leadership e dalla sua inefficacia o da altri fattori, come la speranza di riuscire a risolvere le cose da solo, o dal clima preelettorale che si respira a L'Aquila.

Infine, la sanità. Chiodi ha il merito di riportare i conti in equilibrio, ma le questioni della trasparenza della gestione e della qualità delle prestazioni non hanno fatto passi avanti. Anzi, in una regione dove la sanità è malata di scandali, si rischia di compierne qualcuno indietro. C'è il caso del direttore generale dell'Asl di Pescara D'Amario, dietro al quale s'intravedono i pasticci di Venturoni, che appare sempre più un proconsole del Pdl piuttosto che un funzionario pubblico al servizio dei cittadini. Chiodi sostiene di valutare i risultati, ma tutte le storie pubblicate dal nostro giornale (su una di esse ora indaga la Procura della Repubblica) non solo non smentiscono, semmai rafforzano i dubbi che ci sia stata una lottizzazione politica e che, manzonianamente, lo "sventurato" lottizzato risponda al suo lottizzatore.

Senza contare che a Chieti i medici della Cisl e Cgil chiedono le dimissioni del manager Zavattaro, nominato sempre da lui. Tutti casi che chiamano in causa ormai direttamente Chiodi come presidente e commissario alla sanità. Quando si chiedono sacrifici, come è necessario nella sanità abruzzese, occorre dar prova di trasparenza e di rispetto dell'etica pubblica. Chiodi rinunci a difese d'ufficio che non convincono, e intervenga se non vuole perdere di credibilità. I tagli per rimettere in ordine i conti non bastano. I cittadini sono stanchi della politica che usa la sanità per le sue manovre.

Arriviamo così al punto: quello di cui si parla poco sono le riforme strutturali che servirebbero all'Abruzzo. Ricordo l'elenco che anche il nostro giornale segnala da mesi: tagli ai costi della politica, ristrutturazione di una Regione troppo costosa e poco efficiente, investimenti a favore delle infrastrutture soprattutto immateriali legate alle nuove tecnologie, reperimento di risorse per la crescita, assoluta trasparenza nella gestione della cosa pubblica. E questo non vale solo per il centrodestra, vale anche per il Pd che a Montesilvano vorrebbe candidare, contro il parere di tanti iscritti e cittadini, gli inquisiti alle primarie.

La politica deve cambiare. L'emergenza domanda a tutti scelte difficili e scomode. Ma chi governa ha il dovere in più di dare l'esempio e di assumersi la responsabilità di comportamenti virtuosi.

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