L'Abruzzo e il nuovo modello di sviluppo

di Sergio Baraldi

Qualche giorno fa, Confindustria Abruzzo ha organizzato un dibattito sulla propensione della regione a esportare. Quando si parla di esportazioni, parliamo della chiave con la quale il territorio locale accede al mondo globale. E’ un metro per misurare la nostra competitività, la capacità di confrontarci con il mercato internazionale. In sintesi: l’export ci dice quanto sia concorrenziale il sistema Abruzzo. Il responso della discussione è stato piuttosto negativo, ma con qualche segnale incoraggiante. Negativo perché ha consentito di focalizzare i troppi punti deboli dell’Abruzzo quando si tratta di aprire il capitolo della competitività. Il presidente di Teramo Di Paolo è stato chiaro: siamo poco competitivi. Non è che il presidente di Chieti, Primavera, provincia dove ci concentra l’automotive che rappresenta da solo il 30% delle esportazioni, sia stato meno indulgente, lui che guida l’associazione forse più internazionalizzata. Ma critici sono stati anche il presidente di Pescara, Marramiero, o quello dell’Aquila Spinosa Pingue. Hanno detto la verità: la proiezione internazionale dell’Abruzzo è debole, insufficiente. C’è un salto culturale da far compiere a molte imprese, che resistono all’idea che il mondo cambi velocemente e che il sistema possa reggere a patto che sappia adattarsi alle trasformazioni, proiettandosi su una scacchiera più ampia, perlomeno la globalizzazione di medio raggio che tocca l’Est Europa, la Turchia, il vicino Oriente, il nord Africa.

Tuttavia, è vero che quelle che, fino a pochi mesi fa, sembravano questioni circoscritte a pochi addetti ai lavori, stanno conquistando la centralità della scena pubblica. La consapevolezza cresce. Sono più numerosi gli attori che sentono il dovere di partecipare alla diagnosi e alla terapia. La società si dimostra più attenta ai temi dello sviluppo. Sotto certi aspetti, persino la politica manda qualche segnale da non trascurare: maggioranza e opposizione, almeno la parte più responsabile, comprendono che occorre aprire un capitolo nuovo. Il mutamento va governato; il laboratorio nel quale sperimentare è pronto: il tavolo del Patto per il lavoro dove siedono tutti i soggetti. Qual è il nuovo capitolo che dovremo scrivere? Quello di un diverso modello di sviluppo al quale si lega un nuovo patto sociale. Il giocattolo rischia di rompersi, tutti devono cambiare gioco. Ma siamo in grado di cambiarlo il gioco? Le sfide che abbiamo di fronte si riassumono in due semplici domande: sappiamo quello che dobbiamo fare? E sappiamo farlo?

Quello che dovremmo fare lo spiegano gli economisti e i sociologi: dobbiamo costruire anche qui una società della conoscenza, puntare all'eccellenza, evolvere verso i servizi (turismo, ma anche servizi di consulenza e alla persona). Al cuore di questo progetto c'è l'innovazione che massimizza la crescita di produttività. Questo movimento non può essere affidato solo al mercato, deve diventare il risultato di meccanismi di coordinamento e regolazione nei quali il ruolo del mercato resta determinante, ma deve essere rivalutato quello delle istituzioni, intendendo istituzioni capaci di effettuare gli interventi necessari al successo del processo d'innovazione. Per questo i quattro presidenti hanno chiesto con impazienza che la politica faccia le riforme, mettendo quasi in secondo piano i finanziamenti. E' fondamentale che il pubblico anche in Abruzzo dia sostegno al sistema economico per creare l'ambiente in cui il cambiamento possa essere attuato con gradualità e senza shock sull'occupazione. Le istituzioni restano determinanti per inviare i segnali utili a spingere le imprese a intraprendere una via virtuosa, lasciando che gli imprenditori facciano il loro mestiere. I poli d'innovazione, la cui realizzazione è ancora troppo lenta rispetto alla necessità, sono un passo nella direzione giusta, come hanno osservato i presidenti delle quattro Confindustrie. Non è un caso, quindi, che i discorsi di Primavera, Marramiero, Di Paolo o Pingue possano essere tradotti in linee guida per un progetto d'intervento della politica orientato a costruire un sistema competitivo. Lo strumento del progetto, capace di coinvolgere imprese, tecnostruttura amministrativa pubblica, piccole imprese in iniziative di grande respiro e impegno tecnologico, rappresenta il metodo giusto. Da questo punto di vista, i famosi fondi dei Fas, che difficilmente risolveranno da soli i problemi dell'Abruzzo, possono rappresentare il banco di prova per uno stile di governo nuovo: il disegno di un progetto d'interesse generale come bussola della collettività; la forza di concentrare risorse su obiettivi prioritari per la competitività del sistema; il rafforzamento della crescita delle imprese soprattutto le piccole e piccolissime che, come ha scritto il prof. Mauro, faticano a innovare e a migliorare la produttività. Ma quei Fas andrebbero riformulati almeno in parte, per sfruttarne al massimo l'efficacia. Una seconda leva è il coinvolgimento dell'università e, aggiungerei, dei centri di ricerca, nel tentativo di rafforzare la produzione di conoscenza. L'università è chiamata a offrire capacità di ricerca in "outsourcing" alle imprese.

La formazione di un mercato della conoscenza richiede che gli atenei svolgano un ruolo centrale in quanto depositari della ricerca. Da questo punto di vista, la discussione aperta dal nostro giornale ha mostrato un ritardo dei rettori e delle università, troppo concentrati sui vincoli e i limiti di risorse che in effetti subiscono, e poco disposti a mettersi in gioco, spezzando vecchi riflessi corporativi, uscendo dalle aule per andare nella società e connettersi ai luoghi di produzione. E' indispensabile, come sostengono i presidenti di Confindustria, creare un meccanismo d'interazione tra sistema della ricerca e aziende, che o non fanno ricerca o ne fanno poca. Anche qui potrebbe entrare in campo la politica: il presidente Chiodi non ha competenze dirette, ma può mettere in campo incentivi per i nostri atenei che accettino di discutere di "sistema universitario abruzzese", che non significa necessariamente una sola università, ma la possibilità (prevista dalla Gelmini) di federarsi, di coordinarsi, di specializzarsi. I tre rettori non possono dimenticare che, ormai, si sta formando a livello europeo una gerarchia dell'eccellenza in cui le singole università italiane sono troppo abituate a lavorare solo in rete su base nazionale, quindi una rete larga e insieme limitata che, alla fine, crea anche svantaggi competitivi, perché gli atenei di fatto restano in parte isolati.

La politica, invece, può promuovere la partecipazione delle imprese e delle università ai progetti di ricerca, anche in quelli promossi dall'Unione europea. Il tempo dei rettorati silenziosi, distanti dalla vita della società, sono al tramonto. Tutti dobbiamo comprendere che le imprese non competono più da sole: l'intero territorio compete con loro. L'intero Abruzzo viene messo al lavoro.

Per centrare questi obiettivi, le istituzioni devono riformare se stesse: non possiamo avere una struttura burocratica lenta, forse abituata a ragionare per procedure piuttosto che per progetti, con troppi direttori per di più inamovibili, sottratti di fatto al giudizio di chi governa.

Chiodi si faccia promotore di una riforma che maggioranza e opposizione potrebbero varare di comune accordo. Sia il centrodestra sia il centrosinistra hanno interesse ad avere una macchina organizzativa in grado di rispondere alle domande della società e di collegarsi con l'Europa. Ma questo è soprattutto l'interesse vostro, amici lettori, che pagate più tasse anche per questa inefficienza. Infine, occorre reperire risorse aggiuntive per la crescita, che non si polverizzino in una serie di interventi a pioggia poco utili, ma finanzino progetti o infrastrutture realmente decisive. Non a caso, i quattro presidenti hanno insistito sulla banda larga, prerequisito per mettere in rete aziende, istituzioni, università.

Siamo in grado di farlo? Avverto il vostro scetticismo. La politica abruzzese sembra prigioniera della scadenza elettorale, catturata dai propri interessi, inquadrata nell'ideologia del proprio schieramento. In un'intervista al nostro giornale, l'Udc De Laurentiis aveva posto un problema: quello del legame ormai indissolubile tra innovazione, crescita, e cambiamento strutturale. Al di là dei giudizi politici che poi assegnava, il nodo è reale. Il centrodestra gli ha risposto dando lezioni sugli equilibri politici e denunciando le sue ambizioni personali; il centrosinistra indicando l'esame da superare a L'Aquila. Tutti a ragionare dentro i confini del ceto politico, nessuno a riflettere sulla questione di fondo: cambiare? e come? Una politica che esclude invece di includere. Lo scetticismo, quindi, sulla sua possibilità di dare risposte, è fondato, amici lettori. Però i quattro presidenti degli industriali il problema se lo sono posti. E rassicura il fatto che abbiano risposto: dobbiamo cambiare tutti, noi siamo pronti a sostenere chiunque lo faccia. Il nuovo modello di sviluppo per l'Abruzzo può cominciare da qui: da una "politica", cioè da noi cittadini come insegna il presidente Napolitano, che non sia la difesa dell'ordine tradizionale, ma agente di cambiamento.

I saggi indiani Yaqui, che vivono in bassa California, sostengono che sono quattro i nemici da cui guardarsi: la paura, che ci paralizza; la chiarezza, simbolo del pensare di avere compreso tutto; il potere, o il credere di potere fare tutto; la morte. Contro questi nemici proviamo ad avere coraggio, a imparare a imparare, a metterci al servizio degli altri. E a giocare per una squadra: l'Abruzzo.

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