L'Abruzzo e il progetto fantasma

di Sergio Baraldi

E’ probabile che Silvio Berlusconi abbia firmato, con il decreto per una manovra aggiuntiva da 45 miliardi di euro di tasse e tagli, anche la sua fine politica. Dovremmo riflettere sul rapido crepuscolo del governo berlusconiano per capire cosa dovrebbe fare l’Abruzzo. L’immagine che ha subito segnato la sconfitta del Cavaliere è che l’uomo sceso in campo per ridurre le tasse, alla conclusione della sua avventura, invece le alza. E di parecchio. In effetti, la contraddizione c’è. Ma se vogliamo tentare di avere uno sguardo più approfondito, appare evidente che le ragioni strutturali che potrebbero segnare il suo declino non riguardano questo aspetto per quanto sia importante. Berlusconi esce perdente perché ha varato un giro di vite da 45 miliardi (che si va ad aggiungere a quello già deciso per 47 miliardi) dopo avere sostenuto che la crisi si poteva affrontare senza fare sacrifici, senza muoversi, negando sistematicamente la gravità della situazione. Ora interviene, dopo avere varato poche settimane fa una manovra risibile in cui l’85% dell’aggiustamento che serve per azzerare il deficit è stato scaricato sul governo futuro. Sono stati l’Europa e i mercati a imporre l’anticipo al 2013 del pareggio di bilancio, di fatto “commissariando” Berlusconi e con esso l’Italia. Non è la contraddizione con la motivazione della sua discesa in campo, dunque, la questione centrale. In alcuni casi, i fatti possono costringerci a rivedere le nostre idee.

La questione è che il governo ha perso tempo non riconoscendo l'emergenza. Ha rimandato ogni iniziativa quando poteva affrontare la crisi. Non ha detto al Paese la verità. Berlusconi è mancato come leader.

Inoltre, con questa manovra, Berlusconi colpisce i ceti che in parte lo hanno appoggiato. Le notizie per i ceti medi e medioalti sono cattive: arriverà un conto salato in tasse. Ma anche per i lavoratori autonomi ci saranno problemi seri. Non si deve sottovalutare la misura della sospensione dell'attività per chi evade le tasse, per esempio, non emettendo lo scontrino fiscale. Anche per questi settori sociali l'aumento del carico fiscale si farà sentire. Berlusconi si rende conto di impoverire un elettorato che gli aveva dato fiducia. La battuta sul suo "cuore che gronda sangue" è la conferma che sa di essersi inflitto un colpo pesante. Ma ormai è prigioniero della catena di errori compiuti, non è più lui che guida gli eventi, ma gli eventi che lo superano. Infine, il nuovo taglio di trasferimenti agli enti locali per 9 miliardi rappresenta un'ipoteca sui servizi per i cittadini e, quindi, è un modo per "tassare" gli italiani per via indiretta, come è avvenuto in questi ultimi anni. Dovremo pagare sempre di più e sempre più cose. L'Italia diventa un ticket.

Anche la riduzione delle province, una giusta misura, applicata così rischia di aumentare la confusione. In Molise ci saranno solo la Regione e i Comuni, altrove no. Queste osservazioni per dire che il dramma di Berlusconi è che, con una manovra che ricorda le stangate democristiane degli anni 80 (che portarono alla morte della Dc), lui stesso ha lanciato al Paese un messaggio inequivocabile: che questo governo è diventato un problema, forse il problema. Una battuta del presidente degli Usa Ronald Reagan dice: "Il governo non è la soluzione, è il problema". Berlusconi la traduce in realtà, perché ha abdicato al ruolo di classe dirigente che guida il cambiamento e avvia la modernizzazione del Paese.

In Abruzzo dovremmo guardare con attenzione alla parabola discendente del berlusconismo. Per una ragione evidente: governa il centrodestra. Ma anche per un motivo meno evidente: qui il modello berlusconiano è stato recepito senza una riflessione critica.

La conferma si è avuta sui Fas. Dopo che il nostro giornale ha posto la questione, il presidente della Regione, ha replicato essenzialmente in tre punti: 1) Il piano non è stato bocciato tre volte, si tratta di normale "interlocuzione" tra Regione e governo; 2) il piano presentato va bene così com'è e verrà approvato perché è stato varato con l'appoggio delle parti sociali; 3) il piano risponde alle esigenze strategiche dell'Abruzzo. Il Pd ha presentato un contro piano per i Fas che offre spunti di discussione e, nello stesso tempo, ha chiesto una convocazione urgente del Consiglio regionale.

Il presidente del Consiglio di centrodestra ha evitato la brutta figura di rimanere in vacanza, ma ha convocato la riunione il giorno di ferragosto. Poteva convocarla il 16, ma lui ha preferito il 15. Questo è il presidente del Consiglio Pagano: un simpatico signore che non si pone il problema delle emergenze dell'Abruzzo, ma si diverte a fare sgambetti all'opposizione. Ma finché è Pagano, possiamo divertirci anche noi. Il problema vero è se Chiodi crede a quello che dice.

Il nostro presidente rischia di commettere l'errore di Berlusconi: illudersi che possa affrontare la crisi descrivendola meno complessa di quella che è. Chiodi è un commercialista, sa che non ha presentato un piano strategico, ma una lista della spesa dentro la quale c'è di tutto. Andiamo dal buon finanziamento per l'automotive agli eventi sportivi, alla formazione, alla "governance" per i Fas (addirittura 16 milioni), al turismo, alla competitività. Sono oltre 600 milioni distribuiti a pioggia. Tutti capitoli aperti senza dubbio, ma che non ci restituiscono un disegno strategico per il futuro.

Chi lo legge non ricava un'idea di Regione, ma ottiene un ricco elenco di quello che desideriamo. E' un progetto fantasma. Chiodi ha trasformato uno strumento straordinario in uno strumento ordinario forse pressato da un bilancio ingessato dal deficit sanitario, o dalle poche risorse a disposizione. E' anche possibile che la maggioranza abbia insistito affinché prevalesse la logica del gasparismo" meno buono, cioè una distribuzione di risorse in ordine sparso, nel tentativo di accontentare più gente possibile. Se così fosse, di strategico quel piano conterrebbe solo un po' di ossigeno per il centrodestra in vista di elezioni difficili. Ma si deve ammettere che concepire così il progetto corrisponde anche a una "cultura" diffusa in Abruzzo, dove si fatica ad accettare l'idea che i tempi della distribuzione "dei pani e dei pesci" sono terminati. Il presidente della Regione non dovrebbe farsi condizionare dagli appetiti della maggioranza o da una vecchia cultura. Anzi, il suo mestiere è riconoscere i pericoli e trovare le soluzioni. Chi ha detto che un progetto strategico si concentra su un'opera sola? Il punto è che la risorsa più preziosa per l'Abruzzo oggi è una visione strategica che ci consenta di indicare priorità, obiettivi, direttrici per partecipare alla competizione in atto tra i territori. Il nodo è la competitività e l'attrattività dell'Abruzzo. Questi capitoli decidono il futuro.

Se le cose stanno così, è chiaro che Chiodi dovrebbe rilanciare la funzione di leadership della presidenza senza la quale la regione rischia di arretrare. Non rinunci allora a svolgere il ruolo di guida della classe dirigente regionale. Conosciamo la ragione per cui Fitto farà passare il progetto, turandosi il naso: convenienza elettorale. Ma se il presidente dell'Abruzzo vuole far compiere un salto di qualità alla società non dovrebbe progressivamente abbassare le ambizioni riformiste. E con lui non dovrebbero farlo le categorie economiche, l'intera classe dirigente regionale, che sanno che occorre aprire una nuova fase. E che servirà coraggio per farlo. L'Abruzzo è in cerca di una leadership.

Chiodi sa che un piano strategico indica gli obiettivi e il futuro che si immagina in una situazione competitiva. Sa che alla fine una strategia indica la posizione competitiva che un territorio, come un'impresa, vuole raggiungere che, a sua volta, delinea un modello di sviluppo. Qual è la posizione dell'Abruzzo non solo rispetto all'Italia, ma all'Adriatico, e soprattutto nell'area geopolitica che comprende i Balcani, il sud e l'est dell'Europa?

Ne ha parlato ieri sul nostro giornale un esperto di questi temi, l'abruzzese Angelantonio Rosato che ha fornito indicazioni utili. Il limite che sfida la politica, e che può contagiare anche le parti sociali, è pensare un Abruzzo svincolato da un contesto non più solo nazionale, ma internazionale. Il rischio è che partiti e soggetti collettivi competano, ma sull'arte del non governo. La politica, invece, dovrebbe sentire la responsabilità di rappresentare il meglio non il peggio della società. Come commissario alla sanità, Chiodi sa che per avere una terapia credibile occorre approntare una diagnosi seria e condivisa. Un progetto fantasma forse non basta.

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