i dati

L’Agenzia sanitaria boccia i piccoli punti nascita in Abruzzo

Mascitelli: maggiori criticità rispetto ai grandi ospedali. "Dal 2005 il taglio di 8 reparti ha migliorato la sicurezza"

PESCARA. La riduzione dei punti nascita in Abruzzo ha già migliorato la qualità del sistema. È scritto nero su bianco nel report “Nascere in sicurezza” che l’Agenzia sanitaria regionale guidata dal direttore Alfonso Mascitelli ha consegnato da poche ore dall’assessore regionale alla Sanità Silvio Paolucci. Nel report, che tra qualche giorno sarà pubblicato sul sito dell’agenzia, «implementato» spiega Mascitelli «con chiavi di lettura dei dati», si documenta come il taglio progressivo dal 2005 al 2010 di otto punti nascita per arrivare dai 20 iniziali agli attuali 12 (furono chiusi Castel di Sangro, Atessa, Guardiagrele, Giulianova, Popoli, e i punti nascita nelle strutture private Di Lorenzo e Santa Maria di Avezzano, e Sanatrix dell’Aquila), «non solo non ha determinato disservizi nell’assistenza sanitaria, ma ha reso più sicuro e appropriato l’evento nascita», riducendo la mortalità al primo mese di vita dal 3,2 per mille dei nati vivi nel 2007 (media nazionale 2,3) al 2,3 per mille nel 2011 (media nazionale 2,2).

«Si tratta di un dato», spiega Mascitelli, «che io stesso ho portato un mese e mezzo fa ai clinici e che è sfuggito all’attenzione del dibattito». Altri due dati sono interessanti rispetto alle polemiche sul decreto di chiusura dei punti nascita di Ortona, Penne, Atri, Sulmona. «Il primo riguarda i Dgr (acronimo di Diagnosis Related Groups, ovvero Raggruppamenti Omogenei di Diagnosi, ndr.) per quanto riguarda i neonati a termine con affezioni maggiori o significative. Lì si evince che per strutture che sono di primo livello, dove cioè affluisce la maggiore casistica relativa alla gravidanza fisiologica, il Drg è a livello di allerta, nel senso che è al di sopra dei dati che ci si aspetterebbe rispetto ai punti nascita di secondo livello, quelli dei grandi ospedali come Chieti e Pescara, dove affluiscono i casi più difficili». Il secondo aspetto è l'analisi della domanda. Cioè: dove vanno le donne a partorire? Se prendiamo i punti nascita destinati a chiudere e calcoliamo la percentuale delle donne che vi partorisce rispetto al bacino di utenza, si scopre che a Ortona partorisce il 19% delle donne gravide del bacino di utenza di riferimento, a Penne il 10%, ad Atri il 21%, a Sulmona il 22%.

«È un dato che colpisce», commenta il direttore Mascitelli, «significa che questi presidi non sono un punto di riferimento indiscutibile da parte delle donne partorienti che vivono in quegli ambiti territoriali». A parte forse i residenti della città che ospita l’ospedale (il 66% delle ortonesi gravide partorisce a Ortona, ma il 34% va fuori). «Ma un ospedale non può vivere solo della propria città», dice Mascitelli, «si tratta dunque di valori bassi e questo ci dice che i cittadini sono forse più maturi di quello che si vuol far credere. Scelgono cioè liberamente il punto nascita e il medico di fiducia». Il report non si limita però a bocciare i piccoli punti nascita. Sottolinea anche le criticità dei punti nascita degli ospedali più grandi, quelli che si avvicinano o superano gli standard nazionali di mille parti l’anno. I due nodi cruciali sono l’assenza in oltre la metà delle strutture di una sala operatoria sempre pronta e disponibile h24 per le emergenze ostetriche, e il mancato coordinamento Stam e Sten (cioè il trasporto neonatale). «Ma è per questo», dice Mascitelli, «che l'assessore si sta sgolando nel dire che la riorganizzazione del percorso nascita non è un risparmio ma un grosso investimento di risorse economiche per mettere tutti i punti nascita in sicurezza».

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