La novità in Abruzzo è Gaspari

di Sergio Baraldi

La novità sulla scena politica abruzzese si chiama Gaspari. Potrebbe apparire un paradosso, ma non lo è. Il figlio dell'ex ministro, Lucio, ha deciso di accettare la proposta dell'Udc di candidarsi al Senato. Lucio Gaspari, ha 65 anni, non ha fatto politica attiva, è un medico chirurgo e docente all'università di Tor Vergata a Roma, e si dichiara "legatissimo" all'Abruzzo. La notizia l'ha data ieri lui stesso in un'intervista al nostro giornale. Il medico ha sempre seguito la vita politica del padre, ne è l'erede, quindi si presenterà alle elezioni con la forza di un nome che per l'Abruzzo s'identifica con la storia degli ultimi decenni, prima del crollo della Prima Repubblica. La morte recente dell'ex ministro ha rivelato come la società regionale si sia riavvicinata alla figura di Gaspari padre, al quale sono stati riconosciuti ruolo e meriti che, indubbiamente, ha avuto assieme a molti limiti e errori.

Ancora oggi l'Abruzzo deve confrontarsi con la cultura del "gasparismo" buono e quello meno che richiama il clientelismo e una visione conservatrice della società. Tuttavia, dopo la sua morte si percepisce il desiderio sociale di una rivalutazione del suo lavoro politico e si coglie una certa nostalgia per quegli anni. Se adesso, il figlio decide di scendere in campo, è difficile non considerare gli effetti che potrebbe avere sulla competizione politica. La novità non sta solo nel ritorno di un Gaspari alla vita politica regionale. Sta anche nelle cose che ha detto al nostro giornale e nel modo con cui le ha dette. Il professore di chirurgia, infatti, ha parlato come parlerebbe un cittadino. Un linguaggio che non si ascolta di frequente. Ha detto che sente il “dovere civico” di impegnarsi per il Paese e soprattutto per l’Abruzzo. Ha sottolineato che quando il mare è burrascoso tutti quelli che stanno sulla barca, non solo i marinai (leggi i politici addetti ai lavori) devono dare il proprio contributo. Soprattutto si è riferito esplicitamente all’intervista rilasciata dal suo compagno di partito De Laurentiis al nostro giornale, definendola “intelligente” e quindi dando l’impressione di condividere la critica all’attuale amministrazione regionale.

Lasciamo da parte i tributi di rito ai suoi amici dell’Udc, forse eccessivi, e registriamo la sua fiducia nell’idea dell’Udc di poter scardinare il bipolarismo, affermazioni che si potrebbero legittimamente discutere. Quello che vorrei segnalare alla vostra attenzione, amici lettori, è che il nucleo dell’intervista di De Laurentiis si può riassumere con la necessità di un cambiamento in Abruzzo, scelta che il professore sembra riprendere come nucleo di un possibile programma. Questo per sottolineare come il figlio del più volte ministro si sia presentato con poche parole d’ordine, chiare e semplici, si è ricollegato alla migliore tradizione democristiana della regione e, insieme, ha rivendicato la necessità di voltare pagina.

Se guardiamo al panorama politico di oggi, in Regione c’è qualche schieramento che lancia segnali simili? E’ proprio il legame tra tradizione e novità che favorisce un possibile rimescolamento delle carte. Esso origina dal partito dal quale meno lo aspetteremmo: l’Udc. Potete star certi che, adesso, gli altri partiti interpreteranno parole e candidatura sulla scacchiera delle alleanze, senza riflettere sulle questioni di fondo che potrebbe sollevare. Il centrodestra sembra colto impreparato dalla crisi del berlusconismo, una crisi strutturale e non congiunturale. Al di là dei processi che inseguono il premier e alla sua discutibile vita personale per un uomo che ha scelto la vita pubblica, quello che è emerso in questi anni è l’impotenza a governare il Paese nella fase della grande trasformazione.

Berlusconi è sul viale del tramonto perché nella sfida che modernità e globalizzazione portano ovunque, anche al nostro Paese, il suo governo è stato prima spiazzato, poi non si è dimostrato in grado di gestire il conflitto e la crisi che ne sono scaturiti. In Regione, il centrodestra sembra poter svolgere una funzione nel riequilibrare i conti pubblici, soprattutto nella sanità, chiudendo ospedali e tagliando servizi, un ruolo oggettivamente ingrato, ma ancora non sembra capace di offrire un progetto di riforme che spieghi come la ristrutturazione della spesa possa tradursi in rilancio della crescita e della qualità delle prestazioni. Inoltre, l’errore di accumulare troppe deleghe da commissario nella persona del presidente, ha offerto l’immagine contraddittoria di una potere forte sopraffatto dalla sua stessa forza. Quindi, quando il professore Gaspari critica il mancato cambiamento colpisce il centrodestra nel suo punto debole: gli abruzzesi oggi sanno quello che possono temere in termini di tagli dal governo Chiodi e dalla sua maggioranza, ma non sanno che cosa possono sperare.

Se volgiamo lo sguardo al centrosinistra, il quadro non è meno frastagliato. Il centrosinistra si oppone con delle ragioni a un metodo di governo spesso poco efficiente e troppo incline a una lettura ideologica delle cose e, di conseguenza, poco rappresentativo di tutti. Tuttavia, se si escludono alcuni casi come il patto per il lavoro, è difficile per un cittadino capire quale idea di Abruzzo orienti oggi il centrosinistra. I “no”, per quanto possano essere giustificati, non fanno un “sì”. Per cui i cittadini sanno che non hanno da temere dall’opposizione, la quale non governando non è obbligata al duro lavoro di tagliare i costi, ma non sanno neppure in che cosa possono sperare.

C’è forse da avere fiducia quando a Montesilvano il partito più importante, il Pd, non ha la forza di chiedere ai suoi indagati di non presentarsi alle primarie? Una semplice regola di rispetto verso i cittadini che non condanna nessuno e riconosce a chi è oggetto di procedimenti giudiziari la libertà di potersi difendere? E resistendo ad applicare a se stesso la regola della trasparenza legittima il centrodestra a non toccare i suoi indagati? Un partito che a Roma attacca Berlusconi perché attacca i magistrati, ma qui il segretario regionale Paolucci si chiede se la Procura di Pescara colpirà anche gli altri? Come leggere questa dichiarazione se non come un goffo tentativo di indirizzare l’azione penale della magistratura autonoma? C’è da capire se i cittadini abruzzesi appaiono sconcertati e non sanno in che cosa credere.

Del resto, le prestazioni della politica sono al ribasso: dal valzer dei sensi unici della giunta Mascia a Pescara ai consigli comunali che saltano come birilli a Chieti, le prove di approssimazione si moltiplicano. E’ su questo scontento diffuso che s’inserisce il professore Gaspari: punta il dito verso una politica inadeguata ad affrontare i cambiamenti del mondo ma pure lontana dalla sua società. Una politica che non mantiene le promesse. Chi governa rivela la sua debolezza nell’assicurare il presente e pensare il futuro. Chi si oppone manca all’appuntamento con uno stile di governo diverso e un’idea forte dell’alternativa per domani. Si comprende, quindi, per quale ragione la voce del medico Gaspari può richiamare l’attenzione. Il suo nome evoca il tempo in cui, nonostante errori e limiti, la politica sembrava avere un’idea del futuro da costruire: quella dello sviluppo, tirare fuori l’Abruzzo dalla sua arretratezza per farne a pieno titolo una regione del centro. Il suo nome richiama il tempo in cui la politica trasmetteva un messaggio di certezze e spesso lo realizzava. L’Abruzzo ha creduto in quel messaggio. Non tutto quello che sostiene il professore Gaspari è condivisibile, per esempio la sua fiducia nel progetto dell’Udc di superare il bipolarismo.

Tuttavia, sembra quasi un destino che il disagio che si avverte nell’Abruzzo di oggi e la nostalgia per gli anni d’oro della crescita, quando si sapeva che cosa fare, possa essere interpretato dall’erede del leader di quell’epoca. Esiste il rischio che questo disagio e la domanda d’identità che esprime possano essere catturati dal mito del passato piuttosto che dall’invenzione di soluzioni nuove. Ma la decisione del medico può rivelarsi una mossa spiazzante per un centrodestra e un centrosinistra impegnati soprattutto a cucire la trama di alleanze politiche. Sta a loro dimostrare che non hanno esaurito la loro funzione e sanno raccogliere le domande della società. Le elezioni aprono una nuova transizione per l’Abruzzo e per il Paese. La beatificazione del “gasparismo” può sembrare una semplificazione utile al tempo dell’incertezza. Purtroppo, oggi, dovremmo riscoprire la complessità, le sue difficili negoziazioni, la lungimiranza delle scelte. E’ vero però che la classe dirigente di quegli anni avrebbe molte cose da dire a quella attuale. Il problema è che oggi la politica parla molto, ma ascolta poco.

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