La politica e l'emergenza morale

di Sergio Baraldi

Gli arresti di Spoltore. L’inchiesta sul parco tecnologico dell’Aquila. L’indagine di Pescara sui falsi invalidi. Il processo in corso che vede l’ex presidente della giunta Del Turco come imputato. In pochi giorni, l’iniziativa della magistratura ha ricordato all’Abruzzo che, nell’intreccio di crisi che stringe la nostra società, sarebbe un errore grave dimenticare la questione morale. Anzi, che la questione morale rischia di essere il centro drammatico dell’emergenza dalla quale l’intera regione vuole trascinarsi fuori e che, se manca una risposta su questo punto decisivo, il suo superamento sarà poco credibile, perché affidato solo alle aule giudiziarie. Un giornale non è un tribunale. Non spetta a noi scrivere sentenze, e i diritti degli accusati vanno rispettati. Ma è compito di un giornale riflettere sui fatti e richiamare la società sui problemi che avanzano e sui rischi che corre. In attesa che i processi ci dicano la parola definitiva, la sequenza d’indagini e di accuse della magistratura ci ricorda qualcosa che forse avevamo cercato di rimuovere: in un Paese che vive un declino morale, in Abruzzo la questione della legalità ha raggiunto livelli di guardia. Mostra il volto dell’emergenza, vale a dire di un problema strutturale, che non solo può mettere in discussione la credibilità delle istituzioni nel rispondere ad altre questioni drammatiche, come il dopo terremoto, ma può incrinare la legittimità di un sistema.

E' a questo pericolo che occorre rispondere. A farlo deve essere, intanto, la classe dirigente della Regione, con la classe politica in prima linea. La domanda di una classe dirigente si alza più forte dall'opinione pubblica non in tempi che viviamo come normali, ma quando siamo di fronte a sfide nelle quali solo una forte discontinuità rispetto al passato può consentirci di costruire un domani. Se c'è un tempo nella storia di questa Regione in cui classe dirigente e opinione pubblica devono compiere, insieme, un passo avanti in nome del comune destino della comunità, quel tempo è oggi. Nel 1923 un grande studioso della politica, Gaetano Mosca, che presentiva l'avvento dell'autoritarismo fascista, scrisse: "Per superare la presente crisi, che minaccia gli ordinamenti politici e la stessa compagine sociale, occorre che la classe dirigente acquisti coscienza di essere tale e abbia chiara la nozione dei propri diritti e dei propri doveri" (Elementi di scienza politica).

Il sindaco di Spoltore Ranghelli agli arresti domiciliari, raggiunto da gravi accuse, fa sapere che non intende dimettersi. Un gesto che non solo manca di rispetto verso i suoi cittadini e l'istituzione affidata alla sua cura, ma che va contro la coscienza civile. Siamo andati ad ascoltare l'opinione del paese e il giudizio della gente, come spesso accade, si rivela più saggio di colui che dovrebbe rappresentarli: l'inchiesta segua il suo corso, hanno detto, i magistrati facciano il loro lavoro, lui si difenda, ma intanto Ranghelli lasci l'incarico. E' a causa di questa resistenza a riconoscere che vi sono responsabilità che vanno al di là della singola persona; che esistono "doveri" verso gli altri; che nei momenti gravi, non nelle cerimonie, si mostra quale rispetto abbiamo verso le istituzioni; che quando si è messi alla prova si rivela se si è lì per servire la collettività o per servirsene, che Ranghelli rischia di diventare il simbolo negativo di un opportunismo di cui l'Abruzzo non ha bisogno. Si dimetta, e da cittadino si difenda.

La questione morale rammenta a tutti come sia determinante una classe dirigente ricca di valori, dotata di un'etica pubblica, che sappia essere nei momenti difficili compartecipe di un sentire più generale che, poi, fonda la coesione di una società. E come sia necessaria un'opinione pubblica che non si stanchi di reclamare i propri diritti di vigilanza e controllo, e che non rinunci a rammentare alla classe politica che deve rendere conto di come utilizza il potere e la responsabilità concessi dai cittadini.

La sfida più difficile che l'Abruzzo deve affrontare e vincere è, dunque, una sfida culturale. Sono i tempi in cui un'intera classe dirigente, al cui centro è collocata la classe politica, deve dirci se è distante dalla società, e se rimane chiusa in una lotta antagonistica che ha per teatro l'affermazione d'interessi particolari e immediati o, al contrario, si pone obiettivi più grandi e di lungo periodo. La politica, a sua volta, deve dirci quanto è degradata a contesa di posizioni di potere. Quale futuro può costruire l'Abruzzo se il criterio fondamentale della auto rappresentazione e della pubblica identità della classe politica e dirigente dovesse essere quello della propria privata convenienza? Per questo i partiti (di maggioranza e di opposizione) che detengono il monopolio delle decisioni pubbliche, oltre che della rappresentanza della Regione, devono intervenire. E' l'ora di dare segnali di discontinuità con questa prassi. Chi è coinvolto in procedimenti giudiziari, sia invitato a farsi da parte in attesa del giudizio dei tribunali. Se si vuole ristabilire la fiducia, occorre un comportamento che non sia all'insegna dell'opportunismo, ma della trasparenza e correttezza.

Ci sarebbe un secondo passo da compiere: restituire alle istituzioni la dignità del loro ruolo, ripristinando l'ordine di autorità elette, sottoposte a controllo. L'Abruzzo è la terra dei commissari, un record nazionale a volte imposto da condizioni eccezionali. Oggi è compito della politica, innanzi tutto della maggioranza, annunciare che la Regione torna alla normalità, che le nostre istituzioni sono sufficientemente forti per affrontare i problemi in condizioni normali.

In un'intervista che pubblichiamo oggi, il presidente Chiodi offre un'indicazione importante, che sembra andare in questa direzione: se i conti della sanità si attesteranno sull'equilibrio alla fine dell'anno, potrebbe finire l'epoca del commissariamento. Il nostro giornale incoraggia il presidente a proseguire su questa strada: il modo migliore per dare alla società una prova che il tempo dell'emergenza è finito, anche se i problemi non sono del tutto risolti, è tornare all'ordine istituzionale normale. Inoltre, la politica, che ha il monopolio delle decisioni pubbliche, ha l'onere di dare l'esempio. Compia un passo indietro in tutta una serie di settori, dalla sanità e dagli enti, interrompa una tradizione di occupazione di posti, e avvii una gestione in cui la politica indica le competenze e pone le regole. Il sospetto deve essere allontanato. Vorremmo che il presidente Chiodi (che nell'intervista al nostro De Frenza assicura di voler seguire questi principi) e con lui la politica regionale avessero l'ambizione di liberare le energie migliori della società che accettano di mettersi a disposizione della comunità come "civil servant", non per ottenere privilegi.

Quale rapporto vuole instaurare la politica con la società? Vuole ascoltare la richiesta che si avverte tra gli abruzzesi di un rinnovamento reale nei metodi, nelle scelte, negli uomini? La funzione più alta di una classe dirigente non è forse la produzione di ciò che può essere "nuovo"? E l'esistenza di minoranze privilegiate, come il sindaco Ranghelli e il suo "regista" Roselli, non sono forse mediocri roccaforti da dismettere affinché il nuovo non sia la replica peggiorata del vecchio?

Queste minoranze sono una minaccia per chi in Abruzzo si è impegnato in politica certo non per guadagnare posizioni di rendita. Se di questa testimonianza oggi ha bisogno l'Abruzzo, allora anche la società deve fare un passo avanti. La classe dirigente abruzzese, provenga dall'economia o dalla società, deve salvaguardare la propria autonomia, rinunciando a praticare la via comoda di una coesistenza parallela con la politica, contrassegnata spesso da un avvicendarsi di diffidenza e di convenienza. Tocca alla politica eletta dai cittadini scegliere, è vero. Ma l'opinione pubblica e la classe dirigente non possono, in nome di questo primato, lasciare solo alla politica l'orientamento della società. Anch'esse hanno il dovere di partecipare per indicare e raggiungere obiettivi condivisi. Una scelta di libertà che comporta la necessità di riconoscere la prevalenza dell'interesse generale sui pur leciti interessi di parte. Le componenti rappresentative della vita economica e sociale non dovrebbero declinare un'assunzione di responsabilità nei riguardi del futuro che appartiene a tutti.

Il ritorno in primo piano della questione morale impone la sfida culturale di darsi una nuova visione. Nuova perché richiede un ripensamento di se stessi, del proprio ruolo nel nuovo spazio nazionale dentro l'Europa e il mondo globalizzato. Le crisi offrono l'occasione per cambiare e decidere in base alla qualità e alla pubblica virtù. Gli abruzzesi si meritano di più.

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