La regione scommetta sul futuro

di Sergio Baraldi

Il 2011 finisce peggio di come era cominciato, anche se reca la notizia di un cambiamento carico di conseguenze con l’avvento del governo Monti. Il 2012 si annuncia in salita per l’Abruzzo come per il Paese. Le previsioni sono preoccupate. Unioncamere calcola un calo del Pil dello 0,9%, una contrazione degli investimenti fissi lordi dell’1,1, un calo dei consumi delle famiglie dello 0,4. Il professore Mauro, in un bell’articolo che pubblichiamo oggi, offre ai lettori riflessioni utili per capire quale direzione dovremmo prendere con la crisi più grave degli ultimi decenni. Il nostro modello di sviluppo deve cambiare e compiere un salto di qualità. Ma per quanto l’attenzione di tutti sia, giustamente, concentrata sull’economia, non è meno importante la riflessione sulla debolezza della politica. Se volete una conferma, dovreste rileggervi l’intervista data, la settimana scorsa al nostro giornale, dall’on. Filippo Piccone, deputato e coordinatore regionale del Pdl. Ebbene, Piccone avanza un’analisi di grande interesse sulle difficoltà dell’Abruzzo, sul ruolo che dovrebbe assumere la classe dirigente, indica qualche proposta come l’unificazione di una serie di enti regionali in una sola società per assicurare una guida per la crescita alla nostra regione. Tuttavia, non riesce ad abbozzare un progetto. Si sforza di richiamare i partiti, quindi anche il suo, a riconquistare una visione, una capacità progettuale, come se fosse consapevole che il centrodestra fatica a produrre idee per il rilancio, e inciti a provarci.

Tratteggia quasi un Pdl diverso dall'attuale. Ha ragione, naturalmente, ma questa sembra la condizione dell'intero sistema politico regionale. Il sen. Legnini, intervistato oggi, comincia a delineare con maggiore ricchezza di argomenti i capitoli di un programma di governo del centrosinistra, ma forse sorvola con troppa diplomazia sulle assenze del Pd dal tavolo delle scelte difficili. E' giusto preoccuparsi del cattivo andamento dell'economia e del complesso anno che ci aspetta, ma non dovremmo trascurare le precarie condizioni del nostro sistema istituzionale e politico. La loro debolezza di fronte alla crisi e alle trasformazioni globali, è la nostra debolezza. Il simbolo di questa impotenza è, suo malgrado, il vertice del sistema: il presidente Chiodi, che raccoglie nelle sue mani la massima concentrazione di potere, e un bilancio politico piuttosto magro. E' vero, i conti della sanità sembrano andare verso l'equilibrio, dovrebbero toglierci il bollino rosso di regione-canaglia, e si tratta di un merito che gli va riconosciuto. Ma è pure vero che non si vede molto altro. Anzi, proprio la sanità è il luogo in cui si manifesta la contraddizione della politica abruzzese: i conti tornano in pareggio, ma la qualità, l'affidabilità, la credibilità della gestione è ai livelli più bassi. L'indicatore di questa distorsione è la mobilità passiva: molti abruzzesi si fanno curare altrove. "Votano" con i piedi. Del resto, anche sulla ricostruzione il modello commissariale non ha dato prova di un'amministrazione particolarmente brillante. Eppure tutti i poteri o quasi sono nelle mani di un uomo solo. La solitudine, dunque, non produce quanto ci si aspetterebbe. Qual è la causa della debolezza della politica in Abruzzo? Forse che tra un modello di politica che deve orientare la società, guidarla verso una meta, secondo la tradizione della parte buona del "gasparismo" con la sua idea di sviluppo, e l'idea di una politica come adattamento alla società, come rappresentazione delle sue aspirazioni provinciali e dei suoi vizi, la parte non buona del "gasparismo", alla fine sembra prevalere la seconda. Nel primo caso, la politica svolgerebbe la funzione di spinta al cambiamento, nel secondo invece finisce per interpretare il "tutto si aggiusta" che in Abruzzo conosciamo bene. E' questa difficoltà a proiettarsi in avanti della politica rispetto alla società che Piccone sembra voler segnalare. I partiti tendono a difendere interessi sempre più parziali, sempre più ridotti, sempre più frammentati. Interessi che, nelle intenzioni, dovrebbero consolidare i consensi, anche se non è detto che questa miopia non si ritorca contro chi non riesce a governare la crisi. La sanità è ancora d'esempio: mentre i conti arrivano all'equilibrio con tagli e rinunce, la sua gestione cade nella tutela d'interessi particolari, elettorali, a causa delle scelte miopi di dirigenti che più che funzionari pubblici sembrano funzionari di partito. Chiodi è oggettivamente responsabile dell'uno e dell'altro: il buono dei conti e il non buono di una gestione opaca. Ma con lui è il sistema istituzionale e politico che rivela una debolezza di progetto, d'innovazione. Emerge un'incapacità di imprimere alla società una spinta propulsiva al cambiamento. Non è un caso che nessuna riforma importante sia stata varata finora: burocrazia, sistema trasporti, competitività, istruzione, terziario, infrastrutture, europeizzazione. Le cose vanno a rilento. La politica in questa Regione (come a Roma) sembra forte nell'esercitare il potere, debole nel governare. Chi amministra deve assumersi le maggiori responsabilità, oggi il centrodestra; ma l'opposizione ha i suoi ritardi, perché ancora non riesce a mettere insieme la doverosa funzione di controllo e critica con una strategia. Da questo punto di vista, l'intervista di Legnini segnala una novità.

Rimaste senza custodi fedeli in grado di riformarle e rafforzarle, le istituzioni a loro volta si sono indebolite, appesantite, allontanate da un sentimento di appartenenza da parte dei cittadini che riassume la condizione di un senso dello Stato sempre più incerto. Troppo spesso le istituzioni sono utilizzate come merce di scambio dai vincitori delle elezioni, che ritengono di poterle usare come "bottino" da spartire con amici e parenti. Un ceto politico-burocratico vorrebbe gestirle quasi "senza" i cittadini. E' logico, quindi, che le istituzioni abruzzesi siano poco riconosciute: sottoposte a torsioni da chi le occupa, rischiano di essere vissute come lo Stato distante, sordo ai bisogni delle persone e delle imprese, poco imparziale, invece che come garanti di un cambiamento condiviso. In questo clima, non poteva che diffondersi una cultura impastata di non decisioni, di poco coraggio, di scarsa responsabilità, di bassa efficienza, molta burocrazia, di consociativismo tra politici e burocrati, di lontananza dall'Europa, che non riscuote la fiducia dei cittadini.

La Grande Riforma di cui parla l'on. Piccone serve. Però la politica è chiamata a dare l'esempio. Chiusa nel suo circuito autoreferenziale, impegnata a farsi applaudire dai propri fan, essa tende a ridursi a scontro. A leggersi come duello, invece che come alternanza fisiologica di programmi e classi dirigenti. E se i partiti rimangono prigionieri della campagna elettorale permanente, s'instaura il primato della contingenza. I partiti si riducono, così, a tappare la falla dell'emergenza, quando ci riescono, senza dare soluzioni. Se va bene, si danno risposte alle urgenze del giorno dopo giorno senza offrire una visione del futuro. C'è però una novità con cui fare i conti: il mondo cambia, la famosa globalizzazione ha reso interdipendenti le economie e le nazioni, accelera nel tempo e nello spazio la diffusione dei fenomeni. Questo mutamento ci trasforma, anche se non vogliamo. Guardate il porticciolo turistico di Pescara: nessuno ha pensato che dall'altro lato del mare ci sono porticcioli che costano meno, spesso con ottimi servizi, splendida natura. E qui siamo entrati in crisi. C'è un Abruzzo che pensa di potere vivere secondo il tenore al quale è abituato, chiuso nei propri stili di vita, in difesa dell'esistente, giocando sugli annunci. E' una strada carica di rischi e pesanti conseguenze per il territorio. Purtroppo, la politica della contingenza, che non trova il coraggio delle sfide, tende a trasformarsi in gestione dell'esistente. E una società che non scommette sul futuro è destinata a girare a vuoto. E a perdere ricchezza. Il nostro giornale tenta di spingere il sistema politico e l'intera società a cambiare la propria agenda pubblica. Occorre comprendere i processi che arrivano dall'esterno, nei quali siamo immersi, e che determinano il nostro benessere. Sono necessarie risposte che tutelino la nostra identità, ma che accompagnino una modernizzazione compiuta della regione. Senza questo cambiamento, che non sarà indolore, l'incertezza crescerà. Invece, abbiamo bisogno di fiducia per governare il nuovo che bussa alla porta, anche se stiamo fermi. Ci auguriamo che la politica diventi positivamente strabica: con un occhio afferri l'oggi, con l'altro immagini il domani. Per conseguire questo obiettivo occorre una nuova cultura, apertura verso gli altri attraverso un dialogo- confronto, competizione-collaborazione, innovazione, e la riscoperta della dimensione etica dell'impegno per gli altri. A mio avviso, Piccone sbaglia quando sostiene che governo e opposizione devono rimanere divisi nei propri ruoli. Nessuno vuole confonderli, ma i tempi sono duri. Forse partiti e società dovrebbero capire che, in questa fase storica, il paradigma dovrebbe mutare. Tutti sono chiamati a assumersi la responsabilità del bene comune. Il futuro o è comune o rischia di non esserci futuro. Il nostro giornale augura di cuore a voi, lettori e lettrici, un 2012 che rechi la speranza di una nuova consapevolezza di noi stessi.

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