Migliaia di firme contro il petrolio

Cresce l'opposizione alle trivelle. A rischio metà del territorio regionale

L'AQUILA. Ha toccato quota 40mila la raccolta di firme promossa dalle associazioni e dai comitati ambientalisti per chiedere la revoca delle concessioni petrolifere in Abruzzo. Secondo uno studio di Wwf e Legambiente, frutto dell'elaborazione dei dati disponibili presso i siti del ministero dello Sviluppo economico e dell'Istat, metà del territorio regionale (circa 5mila chilometri quadrati) è investito dal problema, con un picco nella provincia di Chieti (73,7% della superficie, 92 i comuni interessati). Più ampia la presenza in mare, con 6.241 chilometri quadrati interessati da permessi di ricerca, di estrazione o da domande di ricerca e coltivazione.

Secondo le due associazioni ambientaliste le compagnie petrolifere mostrano un interesse crescente per il territorio della regione. «Una geografia complessa che continua ad essere non gestita dalle istituzioni regionali, provinciali e comunali», si legge nel rapporto, secondo il quale «le compagnie petrolifere, al di sopra di ogni programmazione, continuano a impartire una seria trasformazione alla fisionomia della Regione Verde d'Europa configurandola sempre più, sia a terra che a mare, in distretto minerario, mentre l'Europa avvia un processo teso alla riduzione della produzione e consumo da fonti fossili». La Regione da due anni tenta di bloccare le ricerche e le estrazioni dietro la spinta dei comitati e delle associazioni ambientaliste. Il Consiglio regionale ha approvato due leggi, impugnate poi dal governo, che bloccano qualsiasi nuova attività. Giovedì scorso nel consiglio regionale straordinario sull'Abruzzo petrolifero maggioranza e opposizione non hanno trovato l'accordo su un testo condiviso che porti a una riformulazione della legge e la seduta è stata rinviata a nuova data per un approfondimento tecnico. Una delusione per i molti che hanno manifestato all'esterno dell'Emiciclo.

«Non dovremmo essere qui a protestare, ma a lavorare», ha spiegato Alessandro Lancia, uno dei manifestanti «le nostre istanze dovrebbe essere poste e risolte dai nostri amministratori. Bisogna fare una legge per bloccare le concessioni nuove e revocare le vecchie. Chiodi dimostri che ha peso a livello nazionale e si faccia valere su questo fronte». Per Fabrizia Arduini «la Regione si deve dotare assolutamente di strumenti di competenza regionale, quali piano paesistico, piano di stralcio di bacino, Vas e riforma della Via che potrebbero cominciare a garantire contro ogni tipo di scempio, non solo contro la petrolizzazione». Per il capogruppo del Pd, Camillo D'Alessandro, il rinvio «è il classico modo per non decidere». Per il capogruppo di Rifondazione comunista, Maurizio Acerbo, il governatore Chiodi fa lo «scaricabarile».

Il capogruppo dei Verdi Walter Caporale ha annunciato che presenterà una risoluzione «affinché il presidente Chiodi si faccia promotore presso il governo per la redazione di un decreto legge che dia la possibilità alla Regione di decidere il futuro dell'Abruzzo e che impedisca che il Mediterraneo sia meta di trivellatori senza scrupoli. Il nostro mare», ha detto Caporale, «non è un oceano e incidenti come quello che si sta consumando in Louisiana sarebbero fatali».
(ha collaborato Berardino Santilli)

© RIPRODUZIONE RISERVATA