Noi, condannati a tornare a casa

Gli sfollati con gli alloggi «A»: non vogliamo vivere nella città fantasma.

MONTESILVANO. «Tornerà a casa e piangerà». Sono mura, quelle delle case degli aquilani, che non proteggono più, anche quando sono ritenute solide, «agibili», indicate con quella lettera A che dovrebbe preludere a un nuovo inizio. E invece accade che, per gli aquilani residenti negli alberghi del Pescarese e che da giovedì 6 dovranno insindacabilmente tornare nelle case dichiarate agibili, appunto di classe A, la prima lettera dell’alfabeto risvegli un altro inizio: quello del dramma del terremoto e la paura di non essere mai più sicuri. «Le nostre mura ormai ci tradiscono», dice un ragazzo biondo di 21 anni, universitario e, ora, come lo definisce la mamma per alleggerirgli il momento, «pendolare dell’amore», perché trascorre le giornate facendo la spola tra Pescara e Giulianova, dove vive la sua fidanzanta.

Ai primi di luglio, era stata emanata l’ordinanza in cui venivano indicate le case dell’Aquila in cui si poteva fare rientro, perché ritenute sicure. Il 6 agosto è la data tassativa in cui terminerà l’ospitalità gratuita prestata dagli alberghi ai proprietari di case agibili che dovranno quindi lasciare gli hotel. Ma la data, nei Grandi alberghi di Montesilvano e della costa pescarese, è vissuta come un conto alla rovescia che si spera non arrivi mai. «Ho paura», dice Giovanna, mentre è in spiaggia. «Non voglio tornare nella mia casa, anche se dicono che sia sicura. Ho paura di dormirci, non riesco a starci più di un paio d’ore. Tutte le volte che ci sono tornata per prendere qualcosa, è andata sempre così: dopo un po’ dovevo abbandonarla. Assurdo, la mia casa che non mi difende più».

In via Aldo Moro, la strada che attraversa gli alberghi di Montesilvano, non passeggia quasi nessuno. Gli aquilani sono a lavoro, fanno ritorno a Pescara intorno alle sette, e chi resta nell’hotel è sopraffatto dalla noia. «Sbarchiamo la giornata», raccontano gli sfollati alludendo al loro vivere alla meno peggio: «Mangiamo e andiamo in spiaggia. I giorni sono tutti uguali». Non sono molti, sulla riviera pescarese, ad avere le case di classe A. Alcuni vi hanno fatto ritorno a luglio, eppure c’è una signora che abita in via Aldo Moro all’Aquila che ha preferito organizzarsi in un’altra maniera. «Ero qui in albergo», racconta Lucia, «e sono tornata all’Aquila. «La mia casa era stata dichiarata agibile e quando ci sono entrata per la prima volta mi sono trovata in un quartiere fantasma: l’unica palazzina di classe A era la mia.

Un palazzo di tre piani», prosegue, «con sette appartamenti di cui due sfitti da anni e il resto vuoti. Sarei stata lì dentro sola con la mia famiglia e con mia mamma, anziana, che vive anche lì. Poi, è accaduto che mi hanno chiamata ex terremotata perché avevo la casa di classe A. Basta, mi sono detta, sono andata via, ho preferito affittare una casa a Pescara e anche l’ombrellone. Così, adesso, mi sento prigioniera di questa spiaggia». Si alza il garbino intorno alle cinque di ieri e una signora di 80 anni, Maria Teresa, è in acqua a fare il bagno. Dalla riva, la richiama a gran voce la sorella Anna con il marito Francesco. «Non sono mai stata così abbronzata, è la prima volta che vado al mare così spesso. Ho sempre lavorato, non ho mai potuto fare le ferie», racconta Anna. «Siamo pensionati», aggiunge il marito Francesco, «e lo scorso anno in questo periodo eravamo in campagna o a curare l’orto. Insomma, a fare qualcosa». La casa dei coniugi è di classe B, ma quella di Maria Teresa è agibile, si trova a Sassa dell’Aquila.

«Mia sorella non può stare da sola», spiega Anna, «ha bisogno di qualcuno che la segua. Come farà a stare da sola in casa? Noi la stiamo preparando. Che devo dire? Se è condannata ad andarci, dovrà farlo e piangerà tutto il giorno». Il figlio della signora Anna ha scritto al sindaco dell’Aquila, Massimo Cialente, per fargli presente il caso: una signora che non sta molto bene non può tornare a vivere nella sua casa, se pur agibile. A Silvi, sono pochissimi gli sfollati con le case di classe A che sono restati in albergo. Un ragazzo, mentre gioca a carte, dice: «Nel mio albergo, l’hotel San Paolo, chi aveva la casa sicura è andato via». Alberto è tornato all’Aquila ma, assicura sua sorella, della fascia E, non dorme nella sua abitazione. «Si è costruito una casetta, pare una baracca, perché di notte nessuno vuole stare all’Aquila».

Chi ha fatto ritorno nella città, di giorno resta in casa, ma per la notte cerca una soluzione alternativa: c’è chi dorme nel camper, chi nella roulette, chi ha cercato di costruirsi in giardino una casetta provvisoria. Paura delle scosse, del silenzio; sentirsi abbandonati, isolati in una città dove non funzionano i servizi. Maria Grazia, di Arischia, sta seduta sulle scale del Grand Hotel Adriatico di Montesilvano. Qui, nei giorni successivi al terremoto c’erano 250 persone, un numero rimasto quasi invariato, perché sono in pochi ad avere la casa di classe A. Maria Grazia, dipendente dell’università, è in cassa integrazione, che non le viene erogata, e la sua casa è agibile. «Sono quattro mesi che cerchiamo di trovare un po’ di tranquillità», dice. «Siamo andati perfino in Sicilia, solo che abitavamo vicino alla metropolitana e ci ricordava le scosse. Così, siamo andati via», dice Maria Grazia. «Mio marito non sta bene e lasceremo l’albergo quando lui potrà. Questione di giorni, comunque. Se voglio tornare a casa? No, ci tornerò perché sono costretta».