Petrolio, l'Abruzzo fa gola

E' la terza regione italiana per richieste di ricerca

PESCARA. Se l'Italia rischia di diventare un nuovo Texas in fatto di ricerca petrolifera, l'Abruzzo ha buone probabilità di assumere in questo contesto un ruolo da protagonista. Secondo il dossier di Legambiente presentato ieri a Monopoli («Texas-Italia, l'estrazione del petrolio e l'ipoteca sul futuro del mare e del territorio italiano»), l'Abruzzo è la terza regione per numero di richieste di ricerca a terra. «La regione in cui sono attivi più permessi di ricerca è l'Emilia Romagna (24, per complessivi 7.400 kmq)», scrive Legambiente, «seguono la Basilicata (con 10 permessi per 1.300 kmq). E l'Abruzzo (con 9 permessi di ricerca per 3.148 kmq)». La la corsa all'oro nero «è ripartita anche Lombardia (7 permessi per oltre 2500 kmq) e in Sicilia, dove le aree in cui è stata attivata la ricerca riguardano oltre 3.600 kmq con 6 permessi».

Fa gola naturalmente anche il mare abruzzese. «Tra le ultime istanze pubblicate sul Bollettino Ufficiale degli Idrocarburi e delle georisorse (Buig) del Ministero dello Sviluppo Economico», si legge nel dossier «è stata presentata dalla Petroceltic Italia (società della irlandese Petroceltic Elsa) una richiesta per un'area a mare di 728,20 km quadrati (kmq) che si estende nel tratto antistante la costa abruzzese compresa tra Pineto e Vasto. La società irlandese ha di fatto monopolizzato negli ultimi anni le richieste di permessi di ricerca nell'intero specchio di mare compreso tra la costa teramana e le isole Tremiti. Queste ultime in particolare sono minacciate anche da un'altra richiesta per un'area di mare di 730 kmq a ridosso delle isole».

Quali sono le ragioni della corsa all'oro nero italiano e abruzzese? Secondo Legambiente «la maggiore facilità delle procedure e il mancato coinvolgimento delle comunità locali sono, insieme ad un costo del barile che è tornato a livelli importanti (tra i 75 e gli 80 dollari al barile), le cause principali della proliferazione delle istanze per i permessi di ricerca in mare. Richieste avanzate nella maggior parte dei casi, da imprese straniere come la Northern Petroleum (UK) e la Petroceltic Elsa, che da sole rappresentano circa il 50% delle istanze presentate negli ultimi due anni per un totale di 11mila kmq».
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