«Petrolio, una scelta anti-storica»

Intervista allo studioso della società meridionale Costantino Felice: «Oggi contro gli idrocarburi come quarant’anni fa contro la chimica ma è assente la mobilitazione degli anni ’70»

PESCARA. L’Abruzzo degli anni Settanta disse no a un modello di industrializzazione pesante basata sulla chimica. Quarant’anni dopo, la regione si trova nuovamente di fronte a un dilemma simile: permettere o non permettere le attività di ricerca e di estrazione degli idrocarburi lungo la costa e al suo interno?

Costantino Felice è abruzzese e insegna storia economica all’università D’Annunzio di Chieti-Pescara. Studioso di storia del Mezzogiorno, nel 2008 Felice ha pubblicato da Donzelli «Il Mezzogiorno operoso. Storia dell’industria in Abruzzo» in cui si occupa a lungo di quella scelta strategica compiuta quarant’anni fa. Un’opzione che fa sentire la sua eco sul dibattito politico e civile di oggi come spiega lui stesso in questa intervista al Centro.

Che cosa rappresenterebbe l’estrazione degli idrocarburi per l’economia abruzzese di oggi?
«Dal punto di vista del modello di sviluppo realizzatosi nella seconda metà del Novecento, sarebbe un danno e una sventura».

Perché?
«Questo tipo di insediamento contraddice tutta la storia economica, sociale e politica dell’Abruzzo dal secondo dopoguerra a oggi».

In che senso?
«L’Abruzzo rappresenta, non solo nel Mezzogiorno d’Italia ma anche in Europa, un caso virtuoso di sviluppo regionale, un modello riuscito di crescita economica, sancito, a livello europeo, dall’uscita dalle aree depresse dell’Obiettivo 1. Ebbene, alla base di questo successo dell’Abruzzo ci sono tre “rivoluzioni”: quella agricola, quella verde e quella industriale».

La rivoluzione agricola in che cosa è consistita?
«La riforma agraria del 1950 ha avuto il suo perno su scala nazionale proprio qui, nel Fucino, nelle lotte contro il latifondo e negli enti di sviluppo agricolo».

E la «rivoluzione» verde?
«E’ consistita nel fatto che in Abruzzo si sono creati i parchi: una scelta strategica per la regione».

La «rivoluzione industriale», invece?
«E’ il modello di industrializzazione creato in Abruzzo, un modello molto specifico».

Che ha avuto quali caratteristiche?
«Qui si è affermato un tipo di industrializzazione armonizzata con i valori ambientali. In altri termini, in Abruzzo è stato sconfitto il modello tradizionale - quello della Cassa del Mezzogionro, di Pasquale Saraceno - incentrato sui grandi stabilimenti delle industrie di base: petrolchimiche o siderurgiche. Con la sconfitta di quel modello in Abruzzo, negli anni Settanta, è cambiata anche la storia economica del Mezzogiorno».

Aprire, ora, le porte alla ricerca e allo sfruttamento degli idrocarburi rimetterebbe in gioco quel modello sconfitto 40 anni fa?
«Sì. Innanzitutto perché questa prospettiva, basata sugli idrocarburi, contraddice l’agricoltura di impianto ecologico, tipica dell’Abruzzo, che è tra le più avanzate del mondo. In secondo luogo, essa contrasterebbe in maniera evidente con la “rivoluzione” verde dei parchi che, per l’Abruzzo, costituisce una scelta strategica sancita anche nello statuto regionale. Ma la scelta degli idrocarburi contraddice anche quella “rivoluzione” industriale realizzata in Abruzzo negli anni Settanta, in particolare con la sconfitta del progetto di insediamento della Sangrochimica in Val di Sangro».

Che raffronto si può fare fra la società abruzzese di allora e quella di oggi?
«Sono maggiori gli elementi di differenziazione in senso negativo».

Perché?
«Perché alla base di quelle tre “rivoluzioni” c’era un grande protagonismo di massa. Quelle scelte sono state decise dalla società civile più che dalle forze politiche dell’epoca. Oggi, invece, la società civile è assente anche se ora c’è una certa mobilitazione dell’opinione pubblica su questo tema. Ma allora c’erano grandi manifestazioni di massa, a fronte di una classe politica di ben altro livello che, però, era percorsa da una dialettica molto forte su quel tema».

Finirà, come quarant’anni fa con la chimica, con la sconfitta della prospettiva petrolifera?
«La mia previsione è che questa prospettiva non passerà. Lo dico anche sulla base di ciò che succede a livello mondiale dove tende ad affermarsi un tipo di industrializzazione basata su un modello eco-compatibile: la green economy di Obama, per intenderci».

© RIPRODUZIONE RISERVATA