«Ripresa debole, crisi non superata»

L'economista Giuseppe Mauro: in Abruzzo ci vuole più meritocrazia

PESCARA. «La struttura produttiva dell'Abruzzo non ha i piedi di argilla però è ancora legata ai cambiamenti congiunturali di mercato e alle grandi imprese». Giuseppe Mauro commenta con realismo i dati diffusi, venerdì, dal Cresa che dipingono una piccola ripresa dell'economia regionale.

Le aziende manifatturiere in Abruzzo vogliono uscire dalla crisi, producono ed esportano di più ma l'occupazione resta al palo: è questa la fotografia scattata dalla ricerca del Cresa (il Centro regionale di studi e ricerche economico sociali delle camere di commercio d'Abruzzo), condotta su 368 imprese con oltre 10 dipendenti nel secondo trimestre 2010.

Mauro, professore di Politica economica all'università D'Annunzio di Pescara, spiega in questa intervista come vanno interpretati quei numeri.

I dati del Cresa devono indurre all'ottimismo?
«L'analisi del Cresa è molto corretta, nel senso che interpreta in maniera puntuale l'attuale situazione congiunturale dell'Abruzzo. Nel secondo trimestre del 2010 c'è stata, in effetti, una leggera ripresa, trainata, in gran parte, dalle espotazioni e dal recupero del pil a livello nazionale. Una ripresa che, però, conferma alcune caratteristiche: la sua natura dimensionale, cioè dipendente dalle grandi imprese; territoriale, perché concentrata per oltre il 60% in provincia di Chieti; e settoriale perché legata ai mezzi di trasporto».

Quindi, come va interpretata questa ripresina?
«Questo recupero va interpretato con molta cautela perché già l'Istat ha sottolineato come i segnali positivi, rispetto ai mesi precedenti, si stiano attenuando. Quindi, il terzo trimestre del 2010 potrebbe configurarsi in termini meno spinti e più volti al ribasso. In Abruzzo abbiamo comparti di eccellenza, come quello delle grandi industrie, imprese che si collocano in posizioni di avanguardia e figure imprenditoriali dinamiche e innovative, ma tutto questo non è sufficiente a farci uscire da una situazione di stagnazione economica che dura da circa un decennio».

Come spiega questa contraddizione apparente fra l'export e la produttività che aumentano e i posti di lavoro che calano?
«La spiegazione sta in due ordini di considerazioni. La prima è che le imprese stanno recuperando margini di produzione e di fatturato persi, in maniera molto conistente, nel biennio precedente; insomma, le grandi imprese assorbono soprattutto cassintegrati. La seconda considerazione è questa: molte imprese, per resistere alla crisi, hanno posto in essere processi di ristrutturazione produttiva e organizzativa che prevedono livelli di occupazione inferiori. Questi due fenomeni spiegano la discrasia fra ripresa della produzione e mancata ripresa dell'occupazione. L'occupazione non potrà tornare, prima di due o tre anni, ai livelli precedenti».

L'attuale struttura produttiva dell'Abruzzo è adatta ad affrontare il dopo-crisi?
«L'Abruzzo è uscito bene dalla crisi finanziaria, ma ora bisogna pensare alla crescita economica come obiettivo strategico e individuare alcune linee guida per il futuro. Vi sono temi che possono essere affrontati in sede regionale per poter aumentare l'occupazione nel medio periodo».

Cosa bisogna fare?
«Occorre definire un'agenda degli interventi. Adesso diventa prioritario decidere come allocare, in maniera efficace, le poche risorse disponibili; come attirare nuovi investimenti; come aiutare le piccole imprese a fare massa critica; come contribuire a superare gli squilibri territorali; e infine come rendere gli enti strumentali soggetti attivi della politica economica regionale».

E' ottimista o pessimista, vista la situazione attuale?
«Al momento attuale non intravvedo linee guida precise. C'è una più generale esigenza di passare dalla meritofobia alla meritocrazia. Da questo punto di vista, attualmente l'Abruzzo è una regione tipicamente meridionale perché il merito non riesce a penetrare in tutti i gangli della sua vita sociale, economica e politica».

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