Sanità, è lite sui conti risanati

L'assessore Venturoni: merito solo nostro. Ma l'opposizione contesta

PESCARA. Trentacinque ospedali, uno ogni 34mila abitanti. Quasi ventimila addetti, uno ogni 65 persone, un costo di due miliardi 400 milioni di euro l'anno, che fanno duemila euro procapite, altri due miliardi circa di debiti che gli abruzzesi pagano con le tasse regionali più alte d'Italia. Questa è la sanità che secondo l'assessore regionale Lanfranco Venturoni riuscirà finalmente ad andare con i conti in pareggio a fine anno. Per la prima volta nella storia.

Secondo Venturoni è un risultato che si deve «solo a questo governo regionale». Perché altre versioni sono «propaganda». Un'affermazione che ha spinto il capogruppo del Pd in Consiglio regionale Camillo D'Alessandro a sventolare sotto il naso dell'assessore un vecchio contratto di consulenza (epoca Giovanni Pace) del costo di 30mila euro per un piano sanitario mai realizzato. Come a dire, insomma, che tra i debiti della sanità c'è anche quella parcella pagata all'assessore. Che è una verità e mezzo, perché l'assessore è medico del sistema pubblico e dunque pagato con i soldi della Regione da quando le Regioni gestiscono le Asl.

A rinforzo di Venturoni, il governatore Gianni Chiodi, chiamato nei giorni scorsi in procura a Pescara dai pm dell'inchiesta sanitopoli ha sostenuto (e i magistrati hanno messo agli atti) che il commissariamento della sanità abruzzese del settembre 2008 fu innescato da «inadempienze e irregolarità commesse dalla precedente giunta regionale». Un'affermazione che ai magistrati può suggerire un link tra commissariamento e i fatti dell'inchiesta.

Questo solo per dire che la sanità abruzzese soffre ancora del male che l'ha gonfiata e poi tramortita: la politica. Quella che negli anni ha moltiplicato ospedali, reparti, posti letto, primariati, e ha fatto prosperare un formidabile sistema privatistico che assorbe ogni anno il 19% delle risorse, contando sulle inefficienze del sistema pubblico: liste d'attesa soprattutto, perché sulla qualità professionale la sanità pubblica abruzzese è sanissima. Il 19% è tanto, ma è poco rispetto ai debiti contratti. E dunque anche la sanità pubblica ha la sua fetta di responsabilità. D'altra parte, non c'è carriera politica in Abruzzo che sia cresciuta lontano dagli ospedali. Ora questo sistema, dice Venturoni, si appresta a raggiungere finalmente il pareggio sotto l'occhiuta sorveglianza del ministero dell'Economia. Ma a quale prezzo? Al prezzo della rottura di quella pax sanitaria che per anni ha fatto vivere e prosperare pubblico, privato e politica, nella convinzione che nulla avrebbe turbato il gioco, perché alla fine c'era sempre qualcuno a saldare i conti.

Se l'assessore ha ragione a dire che la sua sanità raggiungerà l'equilibrio dei conti (ma i debiti resteranno e gli abruzzesi li pagheranno almeno fino al 2030), è anche vero che la pax sanitaria si è rotta grazie al suo predecessore Del Turco. «Finirla col far west della sanità», cioè con la sanità senza regole. Quanto volte l'ex governatore ha ripetuto questa frase? L'ha detta la prima volta in campagna elettorale e prima che il governo Prodi obbligasse i governatori a pareggiare i conti, pena tasse e commissariamento. Ed è un dato di cronaca che sia stato il richiamo alle regole a far muovere la montagna di carte bollate che sta alimentando tutt'ora il lavoro degli uffici giudiziari (penali e amministrativi) e dei giornali.

Quando Del Turco si insedia sulla poltrona di presidente della Regione, nell'aprile del 2005, la sanità abruzzese era già scassata. Nel 2004 il buco era stato di 225 milioni, le Asl erano indebitate per 1 miliardo 625 milioni di euro.

Il suo predecessore Giovanni Pace aveva avviato la prima cartolarizzazione per 346 milioni di euro. Del Turco - che nel frattempo ha chiamato accanto a sé l'assessore Bernardo Mazzocca e un manager della sanità come Francesco Di Stanislao per organizzare l'Agenzia regionale - a dicembre 2005 fa una seconda cartolarizzazione di 328 milioni di euro, sempre riferita ai debiti del predecessore (disavanzi 2001-2004). Per farla si serve della Fira, la finanziaria regionale presieduta da Giancarlo Masciarelli. L'operazione non è sufficiente a coprire il disavanzo, restano fuori 18 milioni che la Regione pensa di coprire vendendo gli immobili delle Asl.

In questa situazione Del Turco, Mazzocca e Di Stanislao si mettono al lavoro per riscrivere le famose regole. In pochi mesi vengono messi a punto un piano di riordino della rete ospedaliera, viene sottoscritto col governo un piano di rientro, vengono decisi i tetti dei budget per le cliniche private (con tagli nei tre anni per 70 milioni di euro), e approvati i manuali per l'accreditamento delle strutture pubbliche e private.

La questione dei tagli ai privati apre a Del Turco un fronte di conflitto nella sua coalizione. Il vicepresidente della giunta Enrico Paolini contesta la regola dei tagli uguali per tutti, che secondo lui finiscono per favorire il gruppo Villa Pini, quello dei "letti d'oro", la «Ferrari della sanità abruzzese», per usare un termine del suo patron Vincenzo Angelini. Del Turco resiste, chiede l'intervento del segretario nazionale dei Ds Piero Fassino contro Paolini, ma poi l'accordo si trova limando ulteriormente i posti letto delle cliniche di Angelini. Ad agitare i Ds è anche il piano dei tagli negli ospedali, perché muove la protesta delle comunità locali, ma in qualche modo la nuova rete viene ridisegnata, almeno sulla carta. I problemi naturalmente non mancano e i tempi si allungano. Lo fanno notare gli stessi Prodi e Padoa Schioppa che nel frattempo hanno imposto nuove addizionali Irap e Irpef all'Abruzzo e ticket sui farmaci. Sulle tasse la Regione fa però un errore.

Nella finanziaria 2008 destina il gettito Irpef e Irap agli investimenti per le attività produttive e non alla sanità (ci sono le imprese e le associazioni di categoria che premono sul governo regionale). Questa decisione, assieme a quella (usata in precedenza da tutti i governi regionali, di stornare parte del forndo sanitario per finanziare altri settori) psinge Prodi af avvia la pratica di commissariamento. Sono le irregolarità di cui ha parlato Chiodi.

Prodi però non firma il commissariamento perché il suo governo cade sulla questione Mastella. Nel frattempo tutti i provvedimenti sanitari della Regione vengono impugnati dalle cliniche e da alcune industrie farmaceutiche che contestano i tetti ai budget dei farmaci.
Dopo le politiche è Silvio Berlusconi, nuovo presidente del Consiglio, a mandare in Abruzzo il commissario Gino Redigolo, un collaboratore del ministro Sacconi, nel settembre dello stesso anno. Qualche mese prima, il 14 luglio, Del Turco, Mazzocca e altri sono arrestati per ordine della Procura di Pescara con l'accusa di corruzione: Angelini si è autoaccusato di aver dato tangenti.

E mentre il suo gruppo si avvia al fallimento e i lavoratori sono lasciati per mesi senza stipendio, l'imprenditore denuncerà anche il commissario Redigolo perché si sente danneggiato dal suo lavoro. Il commissario continua a lavorare, ma non entra mai in sintonia con la nuova giunta. Opera in piena autonomia, ordina ai direttori generali delle Asl piani industriali con tagli e accorpamenti di reparti, tenta anche di introdurre un ticket sulla riabilitazione. Poi a gennaio 2010 lascia in anticipo il posto a Chiodi. La pax sanitaria è davvero un ricordo.

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