«Sanità, riforma contro le lobby»

Chiodi: i piccoli ospedali non sono convenienti né opportuni.

Presto presenteremo il nuovo modello sanitario abruzzese. Non è possibile continuare con quello esistente perché è eccessivamente costoso e pertanto insostenibile, a meno di non volere accettare - come sta già avvenendo da anni - una riduzione generalizzata del livello qualitativo del servizio sanitario. Siamo consapevoli che la riforma verrà inizialmente osteggiata da lobby professionali, sindacali e territoriali che, pur di mantenere i loro costosi privilegi, non si faranno scrupolo di far credere alla popolazione che la riforma renderà più rarefatta l’assistenza sanitaria nonostante che siano ben consapevoli del contrario. Ma tant’è. Ho già detto, in varie occasioni, che l’attuale classe dirigente politica abruzzese ha il compito più difficile rispetto a tutte le altre classi dirigenti del Paese: far fronte, contemporaneamente, alla crisi economica, a quella del sistema sanitario abruzzese, a quella delle finanze regionali, a quella della sfiducia negli interpreti della politica locale e, come se non bastasse, alla ricostruzione post-terremoto.

C’è bisogno di coraggio, responsabilità, ma anche di coesione politica; la stessa che c’è stata per la decisione di ridurre da subito il numero delle Asl a quattro. Non ad una sola - come suggerito dai folgorati sulla strada di Damasco - perché l’esperimento marchigiano ne ha messo in evidenza i difetti che si sono rivelati maggiori dei vantaggi. La querelle principale riguarderà la riduzione del numero degli ospedali. Vedremo le lobby all’opera che tenteranno di condizionare i sindaci i quali, pur consapevoli della ineluttabilità di certe scelte, si mostreranno ostili a difesa dei piccoli ospedali. Presidi, questi ultimi, che per quanto piccoli, garantiscono nicchie di potere e privilegi. Se, però, analizziamo gli ospedali in una prospettiva storica non v’è dubbio che essi in passato siano stati il luogo deputato alla hospitalitas della comunità locale. Ma questa impostazione è oggi ampiamente superata dal mutato contesto culturale e dallo sviluppo della tecnologia, che hanno profondamente modificato non solo il modo di concepire l’assistenza ma anche le caratteristiche strutturali e organizzative degli stessi ospedali.

Personalmente credo che l’Ospedale debba essere “grande”. Non intendo riferirmi al numero dei posti letto per malati acuti, ma “grande” come offerta assistenziale. Una offerta che può essere anche monospecialistica ma deve coprire l’intero spettro delle esigenze ed essere supportata da tutte le moderne tecnologie. Anche per curare una malattia molto comune come l’infarto al cuore servono apparecchiature costosissime ed una elevata esperienza professionale. In una piccola struttura trovare tutto ciò non è scontato poiché le risorse a disposizione sono limitate così come limitata è la casistica delle patologie trattate. Penso, molto banalmente, alla gravidanza: nel 90% dei casi va tutto bene ma se si verificano complicazioni, in un piccolo ospedale il rischio esiste. Considerazioni, queste, che valgono ancor di più di fronte ad una malattia grave. Presto o tardi, infatti, il paziente verrà trasferito - se non sarà troppo tardi - ad una struttura più grande dove sarà costretto a ricominciare tutto da capo con evidente spreco di risorse e denaro.

Qualcuno potrebbe obiettare: rendiamo “grandi”, nel senso prima detto, tutti i presidi della regione. Ma si tratterebbe di velleitarismo allo stato puro. I cittadini dovrebbero pagare tutto ciò con un livello di tassazione incredibile, e già oggi sono tra i più tassati d’Italia per mantenere un sistema inefficiente che sta lentamente facendo diventare “piccoli” tutti gli ospedali regionali. Qualcun altro potrebbe sostenere che riducendo gli sprechi - che sono ancora tanti - si potrebbe mantenere il sistema così com’è oggi. Ma com’è oggi? La lotta agli sprechi è sacrosanta ma non esclude che si debba allo stesso tempo razionalizzare il sistema, appunto per facilitare la lotta allo spreco. Per queste ragioni, dunque, l’ospedale “piccolo” nel senso prima detto, non risulta conveniente né tantomeno opportuno. Al contrario sarà necessario ripristinare un collegamento più diretto e capillare con il territorio per garantire quella continuità assistenziale, prima e dopo il ricovero, che è il presupposto di ogni politica sanitaria e di prevenzione.

Ed è possibile attraverso l’opera dei medici di base che devono tornare a costituire il vero tramite tra i cittadini e le strutture assistenziali. E poi gli strumenti offerti dalle nuove tecnologie possono dischiudere ampie possibilità. Insomma vorremmo che l’Ospedale abruzzese possa avere un “nome”, una “credibilità” e godere della fiducia delle persone. Solo in questo modo il suo futuro è assicurato: in un ospedale pubblico rinomato la gente ci andrà perché si sentirà sicura e la sua qualificazione renderà virtuoso il sistema concorrenziale tra pubblico e privato spostandone in alto l’asticella. I piccoli ospedali non verranno chiusi (giacchè a chiudere veramente un ospedale non è la politica ma la domanda che non c’è per quell’ospedale) ma resteranno presidi territoriali con una serie di servizi che potranno realmente garantire in funzione della “domanda” proveniente dal territorio.

Sarà sufficiente tutto ciò a restituire sostenibilità ed alta qualità al servizio sanitario abruzzese? No, se non sarà accompagnato dalla lotta allo spreco, dalla meritocrazia nelle scelte dei medici e dalle regole e controlli per la sanità privata e da una impostazione che sia realmente fondata sul principio di sussidiarietà. Il percorso indubbiamente sarà difficile: perché tanti sono gli interessi, piccoli e grandi, che l’attuale sistema ha protetto e fatto prosperare. Ma la nostra volontà riformatrice è ferrea e non saranno certo le proteste puntuali a fermarci, perché sappiamo di avere dalla nostra parte la stragrande maggioranza degli abruzzesi. Gianni Chiodi Presidente Regione Abruzzo