Scacco ad Angelini, sequestrata Villa Pini

Sigilli a beni per 33 milioni: per i pm è il valore dei rimborsi per crediti inesistenti

PESCARA. Il grande accusatore di Sanitopoli è sotto scacco. Dopo due anni e mezzo di indagini sullo scandalo della sanità, a inchiesta ormai chiusa, Vincenzo Angelini è colpito al cuore del suo impero: Villa Pini, simbolo del suo gruppo, è sotto sequestro.

Con il provvedimento notificato ieri dalla guardia di finanza, il gip Maria Michela Di Fine dispone i sigilli per i beni dell’imprenditore che, con le sue dichiarazioni sui 15 milioni di presunte tangenti pagate alla politica, ha causato il terremoto giudiziario del 14 luglio 2008: beni per un valore stimato di 33 milioni sono sotto sequestro preventivo. È l’equivalente, secondo il giudice, dei rimborsi non dovuti ottenuti da Angelini per prestazioni sanitarie nelle sue case di cura e il sequestro - chiesto e ottenuto dal pool guidato dal procuratore Nicola Trifuoggi con Giuseppe Bellelli e Giampiero Di Florio - viene definito dal gip «nei limiti dell’importo del profitto».

«Per il mio cliente si tratta di importi dovuti e fatturati» è il commento dell’avvocato Sabatino Ciprietti, «decideremo dopo aver letto il decreto se chiedere il riesame o il dissequestro al gup».

IL BLITZ DELLA FINANZA.
Poco prima delle 10, venti militari del Nucleo di polizia tributaria di Pescara guidati dal tenente colonnello Mauro Odorisio, con il coordinamento del colonnello Maurizio Favia, lasciano la caserma di Pescara per raggiungere le destinazioni indicate: oltre a Villa Pini, sette immobili a Chieti, Francavilla (compresa la vecchia residenza di famiglia in viale D’Annunzio) e Pescara. Alcuni vengono lasciati in custodia giudiziale, di altri viene interdetto l’uso. Resta naturalmente nella disponibilità della proprietà (la società Villa Pini, indagata nel procedimento) la struttura sanitaria. Il sequestro riguarda anche cinque auto di lusso della srl e 5 milioni in titoli.

L’ACCUSA È TRUFFA.
Per l’accusa, 33 milioni sono il prezzo della presunta truffa consumata da Angelini ai danni della Regione nell’ambito della prima cartolarizzazione da 419 milioni dei debiti sanitari. Grazie al sostegno di esponenti di primo piano dell’amministrazione di centrodestra (a cui, dice l’accusa, seguiranno dopo il 2005 quelli del centrosinistra) e del regista dell’operazione, Giancarlo Masciarelli, il patron delle cliniche avrebbe ottenuto nel 2004 la somma di 33,2 milioni di euro attraverso il sistema dell’autocertificazione e delle fatture fantasma.

I BUDGET SFORATI.
Di questi, 11,2 milioni vennero incassati per effetto di una transazione tra Angelini e la Asl di Chieti per prestazioni superiori al budget o relative a discipline non accreditate nel periodo 1999-2003: la cifra - osservava già il gip nella sua ordinanza del luglio 2008 - venne poi inserita nella cartolarizzazione cosiddetta performing, ovvero tra i crediti certi ed esigibili, ceduti dalle case di cura alla Fira per il 100% del loro valore. Come? Sulla base della relazione di una commissione ispettiva regionale che avrebbe dichiarato legittima la richiesta di pagamento. Ma la cosa «eclatante» sarebbe stata un’altra: in quello stesso periodo, infatti, Angelini era imputato davanti al tribunale di Pescara per truffa, abuso e falso proprio in merito alle prestazioni relative agli anni 1996-1998, un procedimento in cui le parti offese - Regione, Ministero e Asl di Chieti - sostenevano che le somme pretese da Angelini fossero sovrastimate. Dunque, con una mano la Regione lo citava in giudizio, con l’altra gli pagava prestazioni che di fronte al giudice riteneva gonfiate. Il procedimento si spense per prescrizione.

I CREDITI INESISTENTI.

Il resto, ovvero 21,9 milioni di euro, sarebbe stato ottenuto secondo l’accusa sulla base di «crediti inesistenti» o comunque non documentati (relativi al periodo 1995-1999) riconosciuti attraverso la cartolarizzazione non performing, ovvero quella che riguardava i crediti autocertificati dalle case di cura, derivanti da un presunto contenzioso, che vennero acquistati dalla Fira al 65% del loro valore (la cifra iniziale vantata da Angelini era 33,8 milioni). Il credito venne ceduto da Angelini il 9 dicembre 2004 alla Barclays Bank (società indagata), però, secondo l’accusa, senza il corredo necessario di fatture o titoli rappresentativi dei crediti, ingenerando «gravi sospetti» sul presunto carattere fittizio dell’operazione. Nello stesso giorno il credito venne ceduto dalla banca alla Fira.

In questo scenario, due indagati avrebbero avuto un ruolo significativo: l’avvocato Pietro Anello, incaricato dalla Fira di analizzare la fondatezza delle richieste dei privati: a lui Angelini ha raccontato di aver pagato (tra ottobre e dicembre 2004) 250 mila euro per ottenere una perizia favorevole. Il secondo avvocato è l’ex assessore Antonio Boschetti, che rappresentava la Asl di Chieti nel procedimento contro Angelini per la presunta truffa: come legale aveva chiesto al re delle cliniche di restituire le somme per le presunte prestazioni gonfiate; in seguito avrebbe dato parere favorevole al manager Luigi Conga perché riconoscesse anche per quelle prestazioni altro denaro (i 21,9 milioni).


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