SE L'ABRUZZO HA LA TESTA AL PASSATO

di Sergio Baraldi

Ringrazio il presidente Chiodi per la risposta agli editoriali che ho scritto le settimane scorse. Dopo il suo intervento, si è aperto un dibattito che, in pieno agosto, sta coinvolgendo la politica e la società abruzzesi. Credo che Chiodi abbia il merito di avere riconosciuto l’esigenza di avviare una discussione pubblica sul modello di futuro per l’Abruzzo, che mi auguro prosegua. D’altra parte, ha dato un segnale al quale noi siamo sensibili: creare un rapporto trasparente tra governo e cittadini. E’ chiaro che il presidente ha difeso la sua azione e criticato il suo critico, vale a dire il sottoscritto. Quello che conta è che questo dialogo rispettoso possa rappresentare un metodo valido per ragionare sulle emergenze dell’Abruzzo.

Per questo non vorrei seguire coloro che si sono concentrati sulle risorse di cui ha parlato Chiodi. In sostanza, l’osservazione rivolta al presidente è che ha rinunciato ai possibili finanziamenti previsti nel “Piano per il Sud” per puntare sui finanziamenti previsti dal Masterplan, che sarebbero più incerti. E’ vero che le risorse sono decisive, ed è giusto concentrarsi sulla loro concretezza. Noi ci auguriamo che le attese di Chiodi si traducano in realtà, perché all’Abruzzo conviene ottenere stanziamenti. Ma quello che mi sembra determinante, prima ancora che le risorse, è rispondere a una domanda.

Come si può innovare il nostro orizzonte davanti al mutamento strutturale che capovolge il contesto in cui è nato e si è sviluppato l'Abruzzo di oggi?

La politica in Abruzzo procede per piccoli passi, uno avanti, uno di lato, uno indietro, consapevole che il progetto originario, direi il "gasparismo" nella sua versione buona e in quella meno buona, non tiene più. Così facendo, però, si muove senza progetto. L'intervento di Chiodi, infatti, offre come soluzione un intelligente pragmatismo. Il presidente ragiona e agisce in modo incrementale, cioè secondo un'azione progressiva finalizzata a ottenere i risultati possibili. Anzi, Chiodi teorizza nel suo articolo che il pragmatismo è l'unico antidoto di cui disponiamo per affrontare l'incertezza. Dato che sul resto, dalla globalizzazione alla cornice europea, non possiamo incidere. Non si tratta di "scegliere di non scegliere", come ha tradotto il capogruppo dell'opposizione D'Alessandro, perché a mio avviso Chiodi le scelte le compie. Piuttosto, convince di più l'analisi del prof. Mantini, docente di diritto amministrativo e deputato Udc, che indica un'assenza di "programmazione".

A mio avviso, Chiodi decide all'interno di uno scenario volutamente limitato. Non perché non sarebbe capace di ampliarlo, ma perché il peso dei problemi, i vincoli esterni, la sua convinzione personale propendono per la virtù dei "piedi per terra". Una prassi prudente, sostiene Chiodi, tutela meglio l'Abruzzo dalla complessità che ci minaccia. Non è un pensiero debole, come l'opposizione tende a ritenere. Al contrario, è l'idea che il realismo politico, sulle baionette dei numeri, sia l'unica carta spendibile di fronte alle emergenze che ci assediano. Il punto è che non abbiamo garanzia che questa impostazione regga di fronte all'onda dei cambiamenti che ci sovrastano. Il mondo cambia, forse noi dovremmo cambiare con lui. E il realismo non tende a riformare, ma a gestire.

Chiodi sembra non accorgersi di rendersi interprete di un'ideologia conservatrice piuttosto che candidarsi a guida del cambiamento. Da questo punto di vista, gli proporrei di risparmiare i soldi per i convegni sui Balcani. Siamo inflazionati dalle chiacchiere. Quello che ci serve sono fatti. Ma fatti inseriti in una visione riconoscibile, narrabile. Che ci adatti al mondo globale. Che crei un'identità nella società, muovendo le energie della classe dirigente. Che ispiri quella fiducia di cui parlava ieri sul nostro giornale il presidente della Confcommercio, Di Sante, che è una risorsa immateriale ma determinante. L'Abruzzo ha bisogno di risorse, ma prima ancora dovrebbe poter ripensare e riprogettare il futuro. Ha necessità di creare una convergenza dei soggetti pubblici e privati, di rivisitare gli organismi regionali e le procedure decisionali per eliminare costi e burocrazia. L'Abruzzo è chiamato a pensare come governare la transizione senza essere sostenuto da una crescita spontanea, che tiene a galla la barca quasi da sola come la marea. In più, deve crederci.

In fondo, l'Abruzzo ha bisogno di sognare una vita migliore per i suoi figli, come fa Chiodi per primo quando assicura che non vuole lasciare ai suoi più debiti di quelli che ha trovato. Ma l'ideologia dei "piedi per terra" conduce a non mettere a fuoco i due nodi urgenti: la crescita cui è connessa la competitività e attrattività del sistema; la ricostruzione come occasione di riforma strutturale della Regione. La sfida è rimettere in moto una dinamica che contribuisca a creare le condizioni per la ripresa. E fare de L'Aquila una bandiera per tutti. Lo spiega bene il prof. Sarra nell'intervista che pubblichiamo all'interno. Forse ci occorre uno scatto che solo una visione e le idee possono darci.

Il problema è che questo circuito virtuoso deve poggiare su basi nuove. Non possiamo immaginare di affrontare un contesto difficile con una generazione politica che rischia di ragionare con la testa di ieri. Certo che il bilancio è importante, presidente, e fa bene a sforzarsi per rimetterlo in ordine. Ma il senso della mia osservazione (il bilancio è il mezzo non il fine) è che la ristrutturazione della spesa e il riordino dei conti dovrebbero essere messi al servizio di una filosofia. Altrimenti, lei avrà successi e insuccessi (le auguro più i primi), ma poi non si capirà quale direzione voleva imprimere alla società che governa.

Il pragmatismo rischia di farci imitare l'Europa di oggi: ballare una musica che non capiamo. Se la crisi segna un punto di svolta, un sistema sociale ed economico che fatica a crescere non può essere guidato secondo criteri consolidatisi in situazioni non comparabili con quelle di oggi.
Per questo il pragmatismo, che pure ha dei pregi indubbi, rischia di non bastare. Perché non consente di creare discontinuità con una cultura e i suoi dispositivi operativi creati in tempi lontani. Infatti, tutta la politica è incerta e percorsa da fratture interne. Il pragmatismo confida nell'individuo che pensa di poter risolvere da solo i guasti del mondo. Inoltre, l'individualismo del centrodestra rievoca d'istinto Carl Schmitt e la sua logica amico-nemico, per cui la maggioranza spera che le cose si possano aggiustare a Roma; degli "altri" si può fare a meno. E' il tratto profondo del berlusconismo, che ha diviso e spinto il Paese sull'orlo di un collasso. Inoltre, la logica escludente maschera la tendenza del potere a normalizzare lo stato d'eccezione in cui vive l'Abruzzo, dove il suo presidente è anche commissario a quasi tutto. Il pragmatismo non è, quindi, una visione debole. Al contrario, è la visione forte di una politica che subisce il fascino dell'autosufficienza.

Probabilmente, l'Abruzzo cerca un leader, una squadra e un'idea di Regione. E la squadra dovrebbe comprendere anche un dialogo solido con l'opposizione o parte di essa. Aiuterebbe la prassi della partecipazione, perché sempre meno cittadini, associazioni, enti locali sono disposti a firmare deleghe in bianco. I problemi non mancano anche per il centrosinistra. Parte dell'opposizione sembra aver colto a parole la gravità del passaggio che viviamo. L'esempio lo si è visto con la seduta di Ferragosto. Il Pd ha preso la buona iniziativa di chiedere una riunione d'urgenza del consiglio regionale, ma l'esito avrebbe dovuto essere una mediazione che desse alla società abruzzese il segnale di due schieramenti in serrata competizione fra loro, ma uniti su alcuni punti essenziali in nome dei cittadini. Ho l'impressione che la regia sia finita in mano alle pulsioni propagandistiche invece che alla paziente ricerca di un'intesa. Non si può chiedere una seduta straordinaria per dare del "bugiardo" politicamente al presidente della Regione.

Il radicalismo contagia persino chi ha avuto una formazione democristiana. Non credo dia forza all'opposizione, semmai delegittima tutto il sistema. Anche nel centrosinistra troppi ragionano con la testa di ieri sui problemi di oggi. La capacità d'innovazione politica non riguarda solo la maggioranza, ma pure l'opposizione. D'altra parte, un centrodestra preso dallo spirito berlusconiano non ha saputo dimostrare quel senso di responsabilità che dovrebbe distinguere una maggioranza. Il risultato è stato un'occasione perduta per tutti. I cittadini guardano con preoccupazione a un futuro carico d'incognite, chiedono soluzioni non motivi d'ansia di fronte alla campagna elettorale permanente dei partiti. Cerchiamo di capirlo: o vinciamo tutti o perdiamo da soli.

© RIPRODUZIONE RISERVATA