Spinosa: "Inchieste, i giudici lavorino ma basta teoremi"

Il prossimo presidente di Confindustria L'Aquila: "Politica e imprese devono dialogare, ma in Abruzzo è diventato rischioso"

 PESCARA. Recuperare l'Abruzzo alla normalità dopo quattro anni passati nel frullatore della giustizia. E' l'appello che lancia Fabio Spinosa, 43 anni, imprenditore del settore agro-alimentare con il marchio Pingue. Spinosa è il prossimo presidente di Confindustria L'Aquila ed è stato per tre anni presidente regionale di Confindustria giovani, durante i quali ha puntato ripetutamente l'attenzione sulla questione della legalità e delle regole.

 Fabio Spinosa, cosa vuol dire normalità?
 «Questa regione non può continuare a vivere una fiction iniziata quattro fa a Montesilvano, proseguita con Del Turco, D'Alfonso e via dicendo. Non possiamo permettercelo. Gli imprenditori vogliono tornare a una stagione di normalità e mettere fine a questo clima di caccia alle streghe».

 E' un giudizio sulle inchieste dei magistrati?
 
«Io ho sempre portato avanti una forte attenzione alla legalità e al rispetto delle regole. L'ho fatto anche contro certe resistenze di Confindustria. Ho piena fiducia nella magistratura e voglio che continui a lavorare con rigore e inflessibilità. Però se dobbiamo tornare a una stagione di normalità tutti gli attori devono ripensare il proprio ruolo: la politica deve fare la politica con la "p" maiuscola e comportarsi da classe dirigente, l'imprenditoria deve coltivare la cultura della legalità e del rispetto delle regole. Dalla magistratura mi aspetto che sia inattaccabile al 101% rispetto ai provvedimenti che prende. Paradossalmente se le inchiesta in corso si sgonfiassero la cosa farebbe più male al sistema che una eventuale conferma delle accuse, perché avrebbe ragione chi parla di uso politico della giustizia. Abbiamo bisogno di meno teoremi e di maggiori certezze. Se la magistratura deve utilizzare ulteriori 30 giorni per fare un'indagine aspettiamo 30 giorni, ma poi ogni cosa deve arrivare a conclusione».

 E il ruolo di Confindustria?
 
«Per esempio Confindustria può trovare dei sistemi di monitoraggio degli associati rispetto a eventuali comportamenti non in linea, senza avere l'ambizione di rappresentare tutti: si può espellere chi non rispetta le regole».

 Che idea si è fatta delle ultime inchieste?
 
«Non conosco le carte che riguardano Stati e Venturoni. Certamente alcune intercettazioni stridono dal punto di vista morale, dal punto di vista penale no. Però faccio una riflessione: tutte la legislazioni europee favoriscono la partnership pubblico-privato, questo vuol dire che noi dobbiamo dialogare con il pubblico amministratore. E io voglio rivendicare la possibilità di andare a cena o di prendere un caffè con un politico senza che queste cose vengano lette in un certo modo. Per esempio, io ero nella giunta di Confindustria regionale due anni fa quando chiedevamo i termovalorizzatori e parlavamo per la spazzatura dell'Abruzzo di un rischio Napoli. Oggi ribadisco quelle tesi, ma non posso essere strumentalizzato e magari visto come complice di un certo sistema. Se poi c'è chi trasgredisce le regole, è un altro problema».

 Dunque, lei dice, le inchieste hanno creato un clima di sospetti che danneggia la regione.
 «In un mondo dove dobbiamo fare sistema, dove competono i sistemi-territorio, le banche, gli amministratori, le istituzioni, le imprese devono condidivere strategie e percorsi. Ma quale amministratore pubblico dialogherà con noi se c'è questo clima? Se si costruiscono questi teoremi? Io se fossi un amministratore avrei seri problemi. Qui finanche un contributo pubblico ufficialmente registrato nella contabilità di un partito e di un'azienda rischia di passare come tangente. Vogliamo tornare ai pagamenti in nero? Chi glielo fa fare al politico di farsi carico dell'esigenza di un'impresa? Che non è si badi bene quella di pilotare un bando, ma semplicemente di presentare un progetto nuovo, di mettere insieme una filiera di produttori, eccetera. Il compito di un amministratore pubblico è questo. Il mio è un grido di allarme e di dolore di un imprenditore che mette la legalità al primo posto. Noi siamo i primi che la vogliamo, però vogliamo anche da parte della magistratura una riflessione sul proprio ruolo».

 Ma il ruolo della magistratura è proprio quello di perseguire i reati.
 Ribadisco: tolleranza zero, ma a patto che si abbandonino i teoremi. Quando sento un senatore o un presidente di Regione che assicurano che nelle inchieste aperte non c'è nulla, resto confuso. In questa storia mi piace citare il presidente del Consiglio Nazario Pagano: dobbiamo ritrovare fiducia. Ma fatichiamo un po' a non essere qualunquisti rispetto a tutto ciò che vediamo. Per parafrasare la presidente di Confindutria Marcegaglia la pazienza sta finendo ma in Abruzzo è finita da tempo».

 Come giudica la reazione della società civile rispetto alle inchieste?
 
«Ho registrato a difesa della legalità dei silenzi imbarazzanti che fanno ancora più rumore. Se non sbaglio al di fuori di monsignor Bruno Forte e di un comunicato della Confesercenti non ho registrato niente, zero assoluto: non so se è rassegnazione, nausea, collusione o complicità. Tanti parlano dell'immagine che stiamo perdendo fuori regione a causa degli scandali ma non stiamo quantizzando la perdita di Pil di ricchezza che stanno comportando al sistema economico».

 Non c'è proprio nulla che ha funzionato nel rapporto pubblico-privato, nonostante le inchieste?
 
«Abbiamo un esempio virtuoso nella riforma dei Consorzi fidi. L'abbiamo fatta di comune accordo insieme alla politica con cui abbiamo dialogato. E condividiamo, ad esempio, i tagli nel campo della sanità».

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